mercoledì 20 marzo 2013

PASTORE E OSPITE

Il Pastore guida, l'ospite accoglie.

Nel Salmo 23 (22), che risuona familiare alle nostre orecchie, sono due le immagini principali che ci parlano di Dio: il pastore e l’ospite.

Dio è cantato dal salmo innanzitutto come un pastore. Il pastore ha il compito di guidare, nutrire, spronare. La prima cosa che il salmista dice in riferimento a Dio come suo pastore è che egli “non manca di nulla” (v. 1). Il pastore è innanzitutto colui che non ti fa mancare nulla: la sicurezza del cibo per la vita, la sicurezza dai pericoli esterni, la sicurezza dalle avversità del tempo. Il pastore è per le sue pecore la garanzia di questa sicurezza che deriva dal fatto di sapere che c’è qualcuno che non ti fa mancare nulla. Gesù nel Vangelo di Giovanni si è presentato come “il buon pastore” (Gv 10,14). Egli non fa mancare nulla ai suoi discepoli, perché offre la vita per loro (Gv 10,11) e insegna loro che facendo altrettanto, cioè donando la vita, non si manca di nulla. Il buon pastore ci dice che è donando tutto che non si manca di nulla.

In secondo luogo il pastore nel Salmo è presentato come colui che fa riposare in pascoli verdeggianti. E’ colui che mi dà riposo. Nella Bibbia l’immagine del riposo appartiene al linguaggio della salvezza: entrare nel riposo di Dio, significa entrare nella sua vita, nel suo Regno. Ma poi il Salmo continua descrivendoci questo riposo nel quale il Signore ci fa entrare come un luogo dove scorrono acque tranquille che sono in grado di ricreare la nostra vita. Nel deserto, luogo comune per il pascolo nella terra di Israele, è difficile trovare acque tranquille. Quando l’acqua c’è, è impetuosa e pericolosa. Solo in alcuni posti, le oasi, c’è la possibilità di acque tranquille alle quali ci si può abbeverare senza pericolo. Gesù ha fatto sdraiare le folle che lo seguivano sull’erba verde per saziare la loro fame di Parola e di Pane (Mc 6,39). E’ l’erba verde del tempo pasquale, la primavera, che fa rifiorire il deserto, quella sulla quale il Signore fa riposare le folle per moltiplicare il pane per la loro e la nostra fame. Gesù si è mostrato capace di ricreare la vita degli uomini e delle donne che ha incontrato, dei peccatori che ha avvicinato, dei giusti che ha condotto ad interrogarsi sull’autenticità del loro rapporto con Dio. Egli, come un corso d’acqua tranquillo, ha ricreato la loro vita.

Il pastore è colui che ti mantiene sul retto cammino (v. 3). Il pastore non lascia vagare il gregge per strade sconosciute e pericolose, ma lo guida sulla strada giusta. Il pastore è colui che con il suo vincastro ti dà sicurezza (v. 4), anche quando cammini nel buio della notte. Gesù nel Vangelo di Giovanni si è presentato come la via (Gv 14,6) e di se stesso ha detto: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». (Gv 8,12). In Luca e in Matteo Gesù si è mostrato anche come quel pastore che, se ha anche una sola pecora che si perde, non si tira indietro dall’andarla a cercare per riportarla con gioia al pascolo insieme alle altre e fare festa per averla ritrovata. Ma Gesù è anche colui che guida il cammino dei suoi discepoli nella sua via verso Gerusalemme, che per loro era una strada “tenebrosa” e incomprensibile. La via di Gesù, per i suoi discepoli, era coperta dall’ombra della morte. Gesù è per loro il pastore che li guida su quella strada che essi non sanno comprendere e che percorrono passo dopo passo pieni di timore e impauriti (Mc 10,32). Gesù è per i suoi discepoli e per noi colui che tiene la rotta anche quando noi non comprendiamo dove stiamo andando. Anche a noi, come a Pietro, Gesù ripete: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo» (Gv 13,7).

In secondo luogo, nel Salmo, Dio si presenta come ospite: come colui che accoglie nella propria casa. Un’immagine molto forte per la cultura del Vicino Oriente Antico per la quale l’ospitalità è sacra più della propria vita e degli stessi legami familiari. Ci sono episodi, come nella storia di Lot, nei quali è più importante la vita dell’ospite che viene accolto sotto il proprio tetto, che quella dei famigliari più stretti. I doveri dell’ospitalità sono sacri: dare il cibo per il corpo, il ristoro per le fatiche, l’onore dovuto. Gesù ha sperimentato su di sé l’accoglienza nella casa altrui. Pensiamo all’accoglienza che ha ricevuto nella casa di Marta e Maria. Egli ha sperimentato su di sé l’onore dovuto agli ospiti per mano di una peccatrice che ha cosparso il suo capo di olio prezioso e ha lavato con le lacrime i suoi piedi (Mc 14,3). Ma Gesù è stato anche accogliente. Non aveva una casa di pietra dove abitare, ma accoglieva tutti alla sua mensa e sapeva ungere con l’olio della dignità filiale il capo di coloro che incontrava. Gesù stesso si è presentato come ospite accogliente per i suoi discepoli, dicendo: «io preparo per voi un regno, come il Padre mio l’ha preparato per me, perché mangiate e beviate alla mia mensa nel mio regno» (Lc 22,29-30).

Per questo, conclude il Salmo, perché Dio è mio pastore e ospite, bontà e amore mi accompagneranno per tutti i giorni della mia vita (v. 6). La bontà e l’amore sperimentata su di me, può ricreare la mia vita e farvi risplendere la stessa bellezza, per diventare anche noi pastori e ospiti.

Sant’Atanasio afferma che il Salterio «è come un giardino, tutto ciò che viene annunciato negli altri libri lo trasforma in canto» (Ad Marcellinum, 3). Il libro del Salterio, per il vescovo di Alessandria, ci parla di Cristo (Ibid. 6-9), ma anche, come uno specchio, ci parla di noi stessi: «mi sembra che i salmi diventino per chi li canta come uno specchio perché possa osservare se stesso e i moti della propria anima» (Ibid. 12). Il breve percorso che abbiamo fatto attraverso il Salmo 23 (22) ci ha fatto toccare come sia possibile leggere come in uno specchio la vita stessa di Gesù, come pastore e ospite. Ma questa contemplazione della sua vita può diventare specchio anche per noi che impariamo a leggere la nostra vita ad immagine della sua. Continua Atanasio: «ogni salmo viene detto e ordinato dallo Spirito in modo (…) farci dire ogni salmo come riferito a noi, come parole nostre per rammentarci i nostri sentimenti e correggere il nostro modo di vivere» (Ibid. 12).

Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli

Lunedì 18 marzo 2013 – V settimana di Quaresima

www.camaldoli.it

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