martedì 25 settembre 2012

LA LINGUA EBRAICA

L’ebraico (che si legge da destra a sinistra) è la lingua della Bibbia. Dopo la Diaspora degli Ebrei e la loro dispersione per quasi due millenni, l’ebraico postbiblico rimase relegato nelle sinagoghe, oppure usato come lingua letteraria nelle opere rabbiniche.

Gli ebrei sparsi per il mondo cominciarono a utilizzare le parlate locali, creando anche nuovi linguaggi (come l’yiddish, il ladino, il giudeo-spagnolo, il giudaico-romanesco). La lingua ebraica cominciò però a risorgere con il movimento sionista. Il principale fautore della rinascita fu Eliezer ben Yehuda (1858-1922). Trasferitosi dalla Lituania in Palestina, introdusse l’ebraico nella sua casa, rendendo quotidiano l’uso di una lingua morta e destinata allo studio dei testi sacri. Imitato da una cerchia di amici e conoscenti, diede così origine alla rinascita della lingua ebraica che fu progressivamente usata dalle diverse e differenti ondate migratorie che a partire dai primi del ’900 giungevano in Palestina.

Caso praticamente unico nella storia umana, l’ebraico è tornato ad essere lingua viva e in continua trasformazione, ed è oggi la lingua ufficiale dello Stato d’Israele.

L’alfabeto ebraico consta di 22 lettere, tutte consonanti. I suoni vocalici sono indicati da puntini o linee (nekudot) tracciati sopra o sotto la consonante. L’ebraico attribuisce alle lettere anche un valore numerico. Il fatto di poter convertire le lettere in numeri e viceversa ha portato, nella mistica ebraica, all’importante metodo interpretativo chiamato “ghematria”, dove si cercano relazioni tra parole e nomi della Bibbia, correlandone i valori numerici e viceversa. Si tratta di un campo d’indagine affascinante, che presenta molti addentellati con le più complesse teorie cabalistiche.


Potete Consultare qui un piccolo Glossario che abbiamo stillato per voi.

BUONA LETTURA.


RAV DI SEGNI, il rabbino ratzingeriano


Sulla rivista “Terrasanta” promossa dalla Custodia di Terra Santa in Italia, senza peraltro esserne organo ufficiale, è uscita un’ampia intervista al rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, raccolta da Manuela Borraccino e riportata in parte su terrasanta.net.

A differenza del predecessore Elio Toaff, il rabbino Di Segni è noto per la ruvida franchezza con cui si rapporta alla Chiesa cattolica: un’ultima volta in occasione delle modifiche apportate alla didascalia su Pio XII nel museo della Shoah, a Gerusalemme.

Ma proprio per questo sono ancor più interessanti le notazioni di apprezzamento che egli riserva al papa attuale, più che al papa precedente.

Intanto, Di Segni non nasconde che per la visita compiuta da Benedetto XVI alla sinagoga di Roma “abbiamo ricevuto reazioni molto differenti da parte delle comunità ebraiche in giro per il mondo: alcuni ci hanno applaudito, altri ci hanno riservato critiche feroci”.

Poi così prosegue:

“Occorre innanzitutto considerare la personalità di questo papa: Joseph Ratzinger appartiene a un gruppo di teologi per i quali il legame con l’ebraismo è una questione di primaria importanza. E questo non è affatto scontato: molti teologi non condividono questa sua linea. Ho l’impressione che il papa guardi al dialogo con il mondo ebraico con assoluto rispetto: senza tenere conto di questo aspetto non si potrebbe comprendere l’insistenza sua e nostra sulle differenze fra di noi, che ad un esame superficiale potrebbe apparire fin troppo oppositiva. È difficile tradurre in atti mediatici questo rapporto di reciproco rispetto: diciamo che con questo papa siamo in rapporti di buon vicinato, lontani da quegli slanci mediatici di entusiasmo che si erano visti con Giovanni Paolo II e che, a mio avviso, non erano privi di una certa ambiguità”.

E all’intervistatrice che gli chiede “a cosa si riferisce in particolare”, risponde:

“Penso ad esempio al dibattito sul significato della definizione di ‘fratelli maggiori’, penso ai rischi di sincretismo in incontri come quello di Assisi, penso alla beatificazione di Edith Stein e al vero e proprio filone editoriale nato intorno al valore esemplare per la Chiesa della sua conversione… Direi che con l’attuale papa siamo in una fase diversa e molto particolare di un percorso di convivenza e vicinato”.

Più che un problema politico – sottolinea Di Segni in un altro passaggio dell’intervista – “c’è un problema teologico profondo, che contrappone da molti secoli la Chiesa e il mondo ebraico. È questo, a mio avviso, che dovrebbe entrare a pieno titolo fra i temi del dialogo”.

Fonte: Magister.blogautore.espresso
A proposito dell’ambiguità rilevata dal rabbino Di Segni dell’espressione “fratelli maggiori”, è illuminante questo passaggio del libro-intervista di Benedetto XVI “Luce del mondo”:

“L’espressione ‘fratello maggiore’, già utilizzata da Giovanni XXIII, non è particolarmente bene accolta dagli ebrei perché nella tradizione ebraica il ‘fratello maggiore’, ovvero Esaù, è anche il fratello abietto. La si può comunque utilizzare perché esprime qualcosa di importante. Ma è giusto che essi siano anche i nostri ‘Padri nella fede’. E forse quest’ultima espressione descrive con maggiore chiarezza il nostro rapporto”.

Di Sandro Magister