lunedì 28 gennaio 2013

NUOVI ORIZZONTI TRA EBREI E CRISTIANI

Nathan Ben Horin

L’apertura di nuovi orizzonti tra ebrei e cristiani è dovuta, in massima parte, a tre eventi: la Shoah, la nascita dello Stato d’Israele e il Concilio Vaticano II. Fra le molte voci che periodicamente intervengono sul tema del dialogo ebraico-cristiano, quella di Nathan Ben Horin ci pare particolarmente significativa per equilibrio e pacatezza, oltre che per autorevolezza.

Quali orizzonti per il dialogo? 

Prima in Francia, a combattere contro i nazisti. Poi in Israele, a combattere per l’indipendenza. Infine a Roma, incaricato dei rapporti con il Vaticano: dal 1961 come primo segretario dell’ambasciatore israeliano in Italia, dal 1980 al 1986 come ministro plenipotenziario.

Iniziata prima che spirasse il vento nuovo del concilio Vaticano II e che prendessero forma le intuizioni della Nostra Aetate, finita prima del riconoscimento de iure dello Stato di Israele da parte del Vaticano tra il 1993 e il 1994, la carriera diplomatica di Nathan Ben Horin rappresenta una testimonianza tra le più dirette della storia delle complesse relazioni tra Israele e la Santa Sede. Nuovi orizzonti tra ebrei e cristiani, una raccolta curata da Pietro Stefani di otto interventi pronunciati in varie occasioni da Ben Horin tra il 1986 e il 2008, è per questo uno dei libri più utili se si vuole comprendere cosa pensi Israele di se stesso, cosa attenda da quanti si accreditino come suoi interlocutori e perciò anche, come recita il titolo, in quali orizzonti tra ebrei e cristiani possa esistere dialogo (quanta strada sia stata fatta e quanta ne resti da percorrere).

Certo, leggendo Ben Horin, il centro della questione non è mai l’ebraicità di Gesù di Nazareth o la riabilitazione dei farisei, né, in fondo, l’eliminazione, pure indispensabile, di certe caratteristiche posizioni del pensiero cristiano preconciliare: l’accusa di deicidio, per intendersi, o la cosiddetta teologia della sostituzione, così concentrata sul «nuovo» Israele, cristiano, da potersi dimenticare del patrimonio spirituale, se non della stessa esistenza, di quello «vecchio». Acqua passata, si potrebbe dire.

Ma c’è un punto ostico, che pesca nel profondo delle rispettive concezioni dell’umano e del divino: è la terra di Israele con la sua capitale Gerusalemme, contemporaneamente promessa divina e comandamento per il suo popolo secondo il sionismo più autentico. È facile per un non ebreo credere o anche solo accettare che attraverso la vita di uno Stato, attraverso la sua stessa sopravvivenza entro confini scritti tra la terra e il Cielo, permane l’alleanza di Dio con tutta l’umanità?

In almeno sei degli interventi riportati questo è il punto su cui Ben Horin si sofferma maggiormente, proprio perché capisce che soprattutto dal punto di vista cattolico (e non invece secondo alcune impostazioni nate in seno al protestantesimo specialmente statunitense) risulta innaturale legare la salvezza a una terra specifica, e questo a prescindere dalle difficoltà di ordine politico sorte passo dopo passo nella storia dello Stato ebraico.

Gli ultimi due interventi riportati in coda vedono Ben Horin sotto un altro aspetto: quello di membro della Commissione per la designazione dei Giusti fra le nazioni (ruolo tuttora ricoperto); si parla in modo interessante dei criteri e delle difficoltà che emergono quando si cerca di individuare un «giusto», cioè un non ebreo che durante la Shoah ha aiutato, a rischio della vita, i perseguitati dai nazisti.

Daniele Civettini

Fonte:Terrasanta.net

Nathan Ben Horin
Nuovi orizzonti tra ebrei e cristiani
Edizioni Messaggero, Padova





















mercoledì 23 gennaio 2013

Custodire la Memoria

"...di generazione in generazione"

Rav Roberto Della Rocca

La Tradizione ebraica è caratterizzata dall’imperativo categorico zachor, ricorda. « Noi ebrei – scriveva Martin Buber nel 1938 – siamo una comunità basata sul ricordo. Il comune ricordo ci ha tenuti uniti e ci ha permesso di sopravvivere… ».

Il verbo zachar, nelle sue varie forme, ricorre nella Bibbia ben 222 volte e, nella maggior parte dei casi, ha per soggetto Israele o Dio. La memoria, infatti, incombe su entrambi.
Il concetto di ricordare trova il suo complemento e completamento in quello di segno opposto: dimenticare. Al popolo ebraico viene ingiunto di ricordare e al tempo stesso di non dimenticare. La Toràh – il Pentateuco – in particolare nel versetto del Deuteronomio, 32;7, ci sprona ripetutamente a ricordare e a non dimenticare.

Nelle ultime parole di congedo, Mosè raccomanda al popolo: “Ricorda i tempi antichi, cercate di comprendere gli anni dei secoli trascorsi (il corso della storia), interroga tuo padre e ti racconterà, i tuoi anziani e te lo diranno…”.

Ma sbaglierebbe chi intendesse questa affermazione come un mero invito a fondare la nostra esistenza sul passato che ci appartiene. La memoria, custodita di generazione in generazione, è l’antidoto più potente contro la morte, rappresentando una ferma determinazione, una volontà di non abbandonare nel nulla le tracce di ciò che è già trascorso e passato ed è ormai sparito dalla storia. Nell’ebraismo, infatti, il passato non è qualcosa di sorpassato, privo di utilità, ma al contrario costituisce un valido aiuto per affrontare la vita. Per questo nella Toràh ci viene detto anche che ricordare gli avvenimenti non può bastare: « …binu scenot dor vador…. », « …cercate di comprendere gli anni dei secoli trascorsi… ». Bisogna riflettere su di essi, ponderarli, capirne a fondo il significato. L’ insegnamento della Toràh, come si vede, è ben differente rispetto alla saggezza di Plutarco, secondo cui “la storia si ripete”. Per la cultura ebraica la storia non si ripete. E’ semmai l’uomo che può perpetuare i suoi fallimenti e i suoi successi. Ricordare il passato, ma soprattutto comprenderlo, ci aiuta a mettere a fuoco correttamente gli eventi attuali.

Non a caso Rashi’, forse il più autorevole commentatore della Bibbia (1040-1105) nel suo commento a Deuteronomio, 32; 7, interpreta il passaggio « … Binu scenot dor vador… » non tanto come “gli anni dei secoli trascorsi” ma piuttosto come “gli anni delle future generazioni” , nella convinzione che il futuro sarà tanto migliore quanto meno si dimenticheranno le lezioni del passato.

Il compito di trasformare il ricordo in memoria viva e trasmetterlo alle generazioni future è assegnato dall’ebraismo alla ‘Tradizione orale’ che, anziché essere isolata e decontestualizzata in un monumento, è inserita nella continuità di un sistema culturale.

Ma come impedire che la memoria muoia cristallizzandosi nella prospettiva storica, come è accaduto con le Crociate, con l’Inquisizione, con i pogrom? La storia dà garanzia di stabilità al ricordo, ma quasi sempre monumentalizza e distanzia i sentimenti, li raffredda, li normalizza, e pretende di offrire in cambio un’impossibile obiettività. La storia come il monumento sottrae la memoria alla sua appartenenza individuale per consegnarla alla collettività universale, che la deposita nel proprio archivio polveroso dopo averla elaborata in modo soggettivo, magari opportunamente revisionata, per liberarsene come di un documento scomodo.

La commemorazione del passato, i monumenti ai caduti, i musei, sono tutte forme di memoria collettiva istituzionalizzata e, di fatto, sottratta alla coscienza individuale. Per assicurare alla memoria un ruolo vitale, anche nella salvaguardia di un modello di vita, è dunque necessario che la memoria storica si innesti nel presente entrando a far parte della coscienza individuale. A maggior ragione, quindi, abbiamo il dovere di ricordare e perpetuare il ricordo della Shoah, momento tra i più tragici della storia ebraica.

Oggi, quindi, le manifestazioni e le testimonianze sono particolarmente significative poiché assistiamo ad una recrudescenza di violenza che non ci deve lasciare inerti.

Anche in Italia vi è un tentativo esplicito da parte di alcuni di mettere sullo stesso piano, vittime e carnefici, persecutori e perseguitati. Ma il tempo trascorso non può legittimare operazioni del genere. Per questo siamo convinti che il dovere di ricordare appartenga a tutti gli uomini, proprio perché quei fatti hanno ancora un aspetto di attualità. Noi dobbiamo in tutti i modi sostenere i superstiti che si sono assunti il gravoso impegno di testimoniare affinché il sacrificio di coloro che non sono più ritornati non cada nel vuoto. Il loro messaggio è un monito che ci invita ad operare affinché ciò che è accaduto una volta non si ripeta. Quindi oggi più che mai dobbiamo ricordare quei giorni e non dimenticare, poiché dimenticare nell’ingenua speranza di sopire l’offesa subita, come taluni affermano, può significare vedere riacutizzare ancora di più il pericolo che tali tragedie possano ripetersi.

Non resta che percorrere quindi la via della perpetuazione del ricordo a monito per i posteri. Una memoria attiva, come ci ha insegnato Primo Levi, che significa per ognuno, e non solo per l’ebreo, assumere i crimini della storia come male fatto a ciascuno di noi, appartenenti tutti alla grande famiglia dell’umanità. E significa anche non liberarsi mai passivamente del dolore e del lutto elaborandoli attraverso riti, cerimonie e monumenti, ma accettarli come segno permanente di un crimine le cui responsabilità collettive e singole sono assai precise, malgrado i ripetuti tentativi di confondere la storia.

Ben vengano tutte le testimonianze, articoli, libri di storia, film e conferenze di ogni genere che ci parlino della Shoah e che ne parlino a tutti.
Resta, poi, a noi il compito di trasmettere, commentare e far rivivere questa memoria per non dimenticare chi si è e da dove si viene.

Nel libro di interviste ai figli dei deportati di Claudine Vegh, “Non gli ho detto arrivederci”, un figlio racconta ancora perplesso dopo quasi quarant’anni, come suo padre, mentre veniva trascinato dalle SS, anziché dirgli per l’ultima volta « ti voglio bene, non temere nulla, bada a te stesso » , gli abbia invece urlato soltanto: “Robert, non dimenticare mai che sei ebreo e devi restare ebreo”. Il figlio, ormai adulto, continua a interrogarsi sul senso di quel monito « non dimenticare mai…». Evidentemente era, per il padre, l’unico modo di dirgli – nei pochi attimi che gli restavano – che per sopravvivere, egli doveva preservare viva la memoria di sé, la sua identità, la sua coscienza, la sua storia.
 













Rav Dr. Roberto Della Rocca
direttore Dipartimento Educazione e Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.

martedì 22 gennaio 2013

MILANO - Giorno della Memoria

PROGRAMMA

Memoriale della Shoah di Milano

Domenica 27 gennaio, ore 11.00

Alla presenza di S. Em. Cardinale Angelo Scola, Arcivescovo di Milano, del Presidente della Provincia di Milano Guido Podestà, del Sindaco di Milano Giuliano Pisapia, del Rabbino Capo della Comunità Rav Alfonso Arbib, di Rav Giuseppe Laras in rappresentanza delle Associazioni ebraiche, Ospite d’Onore la Signora Lily Safra, si terrà la cerimonia di inaugurazione del Memoriale della Shoah di Milano alla Stazione Centrale, e dell’intitolazione della piazza antistante a Edmond Safra.


Domenica 27 gennaio, Ore 20.00, “Milano ricorda la Shoah”

Nella Sala Verdi del Conservatorio G. Verdi. Commemorazione del XIII Giorno della Memoria. Serata aperta a tutta la cittadinanza organizzata dall’Associazione Figli della Shoah, Comunità Ebraica di Milano, Conservatorio G. Verdi di Milano, Fondazione CDEC, Fondazione Memoriale della Shoah Milano.

Concerto, riflessioni e testimonianze per il Giorno della Memoria. Musiche di Salomone Rossi, Kurt Weill. Con la partecipazione del Coro delle Voci Bianche e dei musicisti del Conservatorio di Milano. Omaggio in ricordo di Shlomo Venezia, ultimo testimone italiano del Sonderkommando di Aschwitz-Birkenau.

Introdurrà la serata Ferruccio de Bortoli, presidente della Fondazione Memoriale della Shoah di Milano. Con la partecipazione di Goti Bauer, Nedo Fiano e Liliana Segre, Testimoni della Shoah.



ROMA – Giornata della Memoria 2013

 

Attività dell’Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma in occasione del Giorno della Memoria

23 gennaio 2013 - Roma

L’Archivio di Stato di Roma, l’Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma ed il Museo della Memoria Locale di Cerreto Guidi (FI), in occasione del Giorno della Memoria 2013, sono lieti di invitarLa alla presentazione del volume digitale consultabile online sui siti www.mumeloc.it/archivio-multimediale/testi/, www.romaebraica.it/archivio-storico-ascer/, www.archiviodistatoroma.beniculturali.it

"Le leggi razziali e la persecuzione degli ebrei a Roma,1938-1945”

a cura di Silvia Haia Antonucci, Pierina Ferrara, Marco Folin, Manola Ida Venzo

Interverranno  
Rossana Rummo (Direttore generale degli Archivi), Eugenio Lo Sardo (Direttore dell'Archivio di Stato), Paolo Masini (Consigliere di Roma Capitale), Riccardo Pacifici (Presidente della Comunità Ebraica di Roma).

Saranno presenti gli autori

Presso l’Archivio di Stato di Roma, Sala Alessandrina, Corso Rinascimento 40

ore 10-13, Roma


23 gennaio 2013 - Leonessa

Il Comune di Leonessa, il Dipartimento per i Beni e le Attività Culturali della Comunità Ebraica di Roma e l’Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma

ricordano il Giorno della Memoria

Interverranno
Sandra Terracina (Progetto Memoria), Gabriella Yael Franzone (Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma) ed i testimoni Marco e Roberto Pisetzky

Presso l’Istituto Comprensivo e Biblioteca Civica “G. Cultrera” di Leonessa

ore 11, Leonessa


28 gennaio 2013 - Gallicano

L’Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma ed il Comune di Gallicano nel Lazio

ricordano il Giorno della Memoria

ore 11, Gallicano nel Lazio

Interverranno
Silvia Haia Antonucci (Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma ) ed il testimone Laura Supino

31 gennaio 2013 - Roma

L’Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma e l’Istituto Comprensivo “Nicola Maria Nicolai” di Roma

ricordano il Giorno della Memoria

Presso L’ Istituto Comprensivo “Nicola Maria Nicolai”, Plesso Buazzelli, via D. Buazzelli 120

ore 10,30 - Roma

Interverranno
Silvia Haia Antonucci (Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma) ed il testimone Roberto Piperno






lunedì 21 gennaio 2013

Il popolo ebraico: segno di Dio

                  Gli Ebrei: segno di Dio

Federico il Grande, chiese a Jean Baptiste du Boyer, marchese d’Argent: "Può darmi un segno inconfutabile dell’esistenza di Dio?". Il marchese, rispose: "Sì, Maestà, gli Ebrei!". 



“All’origine di questo piccolo popolo situato tra i grandi imperi di religione pagana che lo eclissano con lo splendore della loro cultura, vi è l’elezione divina. Questo popolo è invitato e guidato da Dio, Creatore del cielo e della terra... Si tratta di un fatto soprannaturale. Questo popolo persevera a dispetto di tutti perché è il popolo dell’Alleanza e perché, nonostante le infedeltà degli uomini, il Signore è fedele alla sua Alleanza". (Dal Discorso di Giovanni Paolo II ai partecipanti all’incontro di studio su "Radici dell’antigiudaismo in ambiente cristiano" - 31 ott. ‘97).


"Io sono con te"

"Non temere, perché io sono con te; dall'oriente farò venire la tua stirpe, dall'occidente io ti radunerò. Dirò al settentrione: "Restituisci", e al mezzogiorno: "Non trattenere; fa' tornare i miei figli da lontano e le mie figlie dall'estremità della terra, quelli che portano il mio nome e che per la mia gloria ho creato e plasmato e anche formato".  
 Isaía 43, 5-7

A cura di Vittoria Scanu

lunedì 14 gennaio 2013

Fate che Egli venga!


Fate che Egli venga!

«Ed ora entrambi siete in attesa.
Tu che Egli venga e tu che Egli ritorni;
ma a Lui domandate la stessa pace.


E le vostre mani,
che Egli venga o che Egli ritorni,
a Lui tendete nello stesso amore!


E dunque cosa importa?
Dalle vostre due rive,
fate che Egli venga,
fate che Egli venga!

 
Edmond Fleg in Ascolta Israele


 

sabato 12 gennaio 2013

Roma – 17 gennaio 2013

Giornata di Riflessione Ebraico-Cristiana




   Lo Tinàf  


La Settima Parola:

«NON COMMETTERE ADULTERIO»

(Esodo 20,14)


Saluto

S.E. Mons. Enrico DAL COVOLO
Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense

Intervengono


Ecc.mo Rav Riccardo DI SEGNI

Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Roma

Rev. P. Reinhard NEUDECKER sj
Prof. emerito di Letteratura Rabbinica,
Pontificio Istituto Biblico
Pontificia Università Gregoriana



Giovedì 17 Gennaio 2013

Ore 17.30 | 19.30

PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE

Piazza S. Giovanni in Laterano, 4 - Roma
Aula Multimediale Pio XI







Informazioni: Ufficio per l’Ecumenismo e il Dialogo

Piazza S. Giovanni in Laterano, 6 - Tel. e fax 06.698.86517

e-mail: ufficioecumenismo@vicariatusurbis.org





mercoledì 9 gennaio 2013

Farneticanti dichiarazioni antisemite

Lefebvriani anti ebrei, sconcerto vaticano

Gian Guido Vecchi 


 
Basilica di San Pietro: una sessione del Concilio Vaticano II


«Noi abbiamo molti nemici, molti nemici. Ma, guardate, è molto interessante. Chi, in tutto questo tempo, è stato il più ostile a che la Chiesa riconoscesse la Fraternità? I nemici della Chiesa: gli ebrei, i massoni, i modernisti».

Rimandata e trascritta in Rete, la voce di monsignor Bernard Fellay, superiore dei Lefebvriani, ha fatto il giro del mondo. Secca la condanna del Centro Simon Wiesenthal: «La descrizione degli ebrei come "nemici della Chiesa" prova una volta di più l'antisemitismo profondamente radicato al cuore della teologia della Fraternità».

Mentre in Vaticano, con «sconcerto», si fa sapere che «naturalmente» una posizione simile contro gli ebrei è «insostenibile», e padre Federico Lombardi elenca i testi del Concilio, il magistero dei Papi e le parole e le visite di Benedetto XVI alle sinagoghe di Colonia, New York, Roma e Gerusalemme.

Di certo quelle di Fellay sono parole che pesano, mentre i negoziati tra Santa Sede e seguaci del vescovo scismatico Lefebvre sono in stallo. La storia si trascina dal 2009: il Papa che, come «gesto discreto di misericordia», toglie la scomunica ai quattro vescovi della Fraternità subendo polemiche mondiali (nessuno lo avvertì che uno di loro, Richard Williamson, è un antisemita che nega la Shoah: solo di recente è stato espulso dalla Fraternità, ma per disobbedienza) e poi tre anni di trattative per ricomporre lo scisma, la Santa Sede che offre loro di diventare una «prelatura personale» come l'Opus Dei.

Risultato? Fellay che in estate spiega: «Con Roma siamo a un punto morto e non possiamo firmare». E la commissione vaticana «Ecclesia Dei» che a fine ottobre dice che «sono necessarie pazienza e fiducia» perché «dopo trent'anni di separazione è comprensibile che vi sia bisogno di tempo».

Il problema, per i Lefebvriani, è sempre lo stesso: il riconoscimento del Concilio e dei suoi documenti, a cominciare dalla Nostra Aetate che segnò la svolta della Chiesa con gli ebrei, non più «deicidi».

Il capo dei Lefebvriani, il 28 dicembre in Canada, ha indicato «ebrei, massoni e modernisti» come i «nemici della Chiesa» che remano contro: «Persone che sono all'esterno della Chiesa e chiaramente nel corso dei secoli sono state nemici della Chiesa, hanno detto a Roma: se volete accettare questa gente, bisogna obbligarli ad accettare il Concilio».

Fellay è sarcastico: «Non è interessante? Penso sia fantastico! Perché questo mostra che il Vaticano II è cosa loro!». Cosa loro.

I Lefebvriani Usa hanno tentato di replicare alle polemiche dicendo che la parola «nemici» è stata usata da Fellay «in senso religioso» e «non si riferiva al popolo ebraico ma ai leader delle organizzazioni ebraiche».

Fonte: “Corriere della Sera” dell'8 gennaio 2013

venerdì 4 gennaio 2013

Dove cercare Gesù


Dove trovare Gesù? 

Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli

Veduta di Gerusalemme

Abbiamo celebrato in questi giorni la sua nascita, abbiamo cantata l’incarnazione del Verbo di Dio che ha posto la sua tenda in mezzo a noi, ma poi nella nostra vita di ogni giorno facciamo l’esperienza di Maria e Giuseppe di non trovare Gesù accanto a noi durante il viaggio. Il Vangelo di questa domenica ci può aiutare a rispondere a questa domanda così fondamentale per la nostra vita e per sperimentare per noi il senso dell’incarnazione oggi. Dove trovare Gesù?

Gesù va cercato innanzitutto a Gerusalemme. 

 Per Luca la Città santa ha un significato del tutto particolare. Luca scrive un’opera in due volumi nei quali Gerusalemme è il punto di arrivo e il punto di partenza. E’ il punto di arrivo verso il quale Gesù si dirige per compiere la sua Pasqua. Gran parte del Vangelo di Luca è costituito da un grande viaggio di Gesù verso Gerusalemme come luogo nel quale doveva compiersi il suo “esodo”, il suo passaggio, l’evento della sua morte e risurrezione. Da Gerusalemme, poi, i suoi discepoli dovevano ripartire per raggiungere gli estremi confini della terra.

Gerusalemme è il luogo della Pasqua, della morte e risurrezione di Gesù, il luogo del dono della vita. Questo è il punto di arrivo e il punto di partenza per ogni uomo e donna alla ricerca di Gesù. Non si può trovare Gesù al di fuori della sua Pasqua, al di fuori da Gerusalemme.

Inoltre Gesù lo possiamo trovare nel Tempio seduto in mezzo ai maestri mentre li ascoltava e li interrogava. Il Tempio è il luogo scelto dal Signore per far abitare il suo Nome in mezzo al suo popolo. Non dobbiamo pensare il Tempio come la casa di un Dio lontano, ma come una casa tra le case. Il Tempio è il segno della presenza del Dio santo-altro in mezzo al suo popolo. Gesù lo possiamo trovare lì dove abita l’umanità che egli ha scelto per sua dimora. Non dobbiamo cercare Gesù lontano dagli uomini e dalle donne del nostro tempo, perché egli, come è nello stile del Dio di Israele, pone la sua tenda in mezzo a noi.

Ai tempo dell’esilio in Babilonia, quando i giudei sono costretti ad andare esuli lontano dalla loro terra, Ezechiele ci dice che la presenza, la gloria, del Signore si alza dal Tempio e si sposta verso oriente. Non è l’immagine di un Dio che abbandona il suo popolo nel momento del bisogno; non è un Dio che, irato, si allontana sdegnato dal suo popolo, ma è un Dio che va in esilio insieme al suo popolo proprio perché la sua presenza non è legata ad una costruzione di pietra. Dio ritorna ad essere un nomade, come lo era quando seguiva il cammino di Israele nel deserto verso la terra promessa.

Anche noi non possiamo trovare Gesù se non tra gli uomini e le donne del nostro tempo, perché egli abita lì dove essi abitano. E’ questo il senso del luogo del Tempio.

Nel Tempio Gesù è tra i maestri, mentre li ascolta e li interroga. Si tratta dei sapienti di Israele, esperti nella Legge, nelle Scritture. Non si può trovare Gesù al di fuori delle Scritture. Anche questo è un aspetto importante: non possiamo trovare Gesù se non nella sua Pasqua, nel suo abitare tra gli uomini e le donne del nostro tempo, alla luce delle Scritture, in dialogo con esse, ascoltando e interrogando.


Sono i tre luoghi nei quali anche noi oggi possiamo ritrovare Gesù: la sua Pasqua, l’umanità del nostro tempo, le Scritture ascoltate e interrogate. Ma per trovare Gesù in questi tre luoghi occorre l’atteggiamento sapiente di Maria: cercare il senso dei fatti che accadono nella nostra vita. E’ infatti la nostra esistenza il luogo nel quale ritrovare il dono della vita, l’incontro con l’umanità del nostro tempo, l’ascolto della Parola. L’atteggiamento di Maria non è un disincarnato spiritualismo, ma l’attenzione a ciò che la vita presenta. Il cuore nelle Scritture non è il luogo dei sentimenti, ma il luogo dell’intelligenza, il luogo dove si prendono le decisioni, dove si ascolta la Parola e ci si decide per Dio. Il cuore è ciò che noi chiameremmo coscienza. Ecco non basta conoscere i luoghi nei quali trovare Gesù, occorre anche l’atteggiamento intelligente di Maria che cercava il senso degli avvenimenti della sua vita. 


Monastero di Camaldoli - La Vergine 


Se avremo come Maria la capacità di meditare nel cuore, allora la vita vissuta come dono, l’umanità del nostro tempo e la guida delle Scritture sante saranno il luogo dove trovare Gesù nella nostra vita.







 Camaldoli, 30 dicembre 2012 - Domenica della Santa Famiglia




giovedì 3 gennaio 2013

Roma - Giornata del Dialogo Ebraico-Cristiano

L’Amicizia ebraico-cristiana (AEC) e il Segretariato Attività Ecumeniche (SAE) celebrano assieme, anche quest’anno, la  

“Giornata del dialogo ebraico-cristiano”

dedicata all’approfondimento del comune patrimonio scritturistico ed etico. Negli anni precedenti sono state prese in considerazione “le Dieci Parole” ed ognuna di esse ha costituito il tema dell’anno.

Quest’anno rifletteremo sulla Settima Parola (Esodo 20,14): 

 "NON FARAI ADULTERIO" (non adultererai)

  Come guida alla riflessione, ascolteremo: 

 rav Cesare MOSCATI e Marinella PERRONI


  *Domenica 13 gennaio alle ore 16.30*


Presso la Foresteria del Monastero S.Antonio, delle Monache Camaldolesi - Clivo dei Publicii, 2 (Aventino)