mercoledì 20 maggio 2015

Un amore Capitale.

Salvatore Fornari e Roma. di Silvia Haia Antonucci*   

Recensione di Marco Brunazzi**


Il bel libro di Silvia Haia Antonucci, responsabile dell’Archivio storico della Comunità Ebraica di Roma, è un nuovo e interessante contributo per la messa in luce di quell’immenso patrimonio di storia e di memorie della più antica comunità ebraica d’Italia, quella di Roma.

Si tratta infatti di una monografia dedicata a Salvatore Fornari, orafo e argentiere, ma anche eclettica figura di artista, fotografo, collezionista e intellettuale del Novecento, che fu tra i protagonisti della fondazione (1960) del Museo Ebraico di Roma e suo primo Direttore. La ricerca spazia quindi dalla biografia personale alla ricostruzione degli ambienti e delle atmosfere nelle quali Fornari visse, grazie anche al bell’apparato iconografico che arricchisce il volume. Molto stimolante anche l’appendice di interviste, mentre di particolare efficacia risulta la introduzione di Anna Foa.

Questo lavoro di Silvia Haia Antonucci si segnala però anche per il contributo che arreca alla più approfondita conoscenza di quello che fu il mondo degli ebrei italiani a partire dagli anni dell’Unità nazionale e per buona parte del Novecento.

Una conoscenza che purtroppo non ha mai fatto parte della memoria diffusa e di senso comune tra gli italiani, dove invece mai del tutto scomparsi e sotto traccia continuano ad allignare pregiudizi d’antica matrice antiebraica o addirittura, più o meno camuffati di “antisionismo”, antisemiti.

Eppure, se si guarda all’apporto degli ebrei al Risorgimento nazionale e soprattutto alla rapida e profonda integrazione che ebbe luogo nei primi decenni successivi, si comprende appieno il senso di quell’acuta osservazione che fece Arnaldo Momigliano. E cioè che gli ebrei rappresentavano, nel processo unificatore, una regione senza territorio, ma certamente equivalenti alle altre regioni i cui abitanti, divenendo italiani, non per questo perdevano il senso della loro identità locale originaria. E in effetti, l’intera storia degli ebrei italiani, dal Risorgimento al 1938, non si può non leggere che in questo modo. Uno straordinario caso di profondissima integrazione nazionale, sociale, culturale, affettiva, che nondimeno preservava, con discrezione e costanza, il nucleo dell’antica e mai dismessa identità.

Il paradosso della coscienza collettiva diffusa italiana è quello di non avere mai del tutto acquisito la consapevolezza di quella vicenda storica, né, dopo, dei mutamenti intervenuti. Infatti, è evidente che quella storia esemplare e onorevole subì una drammatica cesura con l’introduzione delle ignobili leggi razziali (cioè antiebraiche) nel 1938. A quella seguirono gli anni dell’orrore della Shoah e poi ancora, ovviamente su altro e positivo piano, la nascita dello Stato di Israele. Si vuol dire insomma che dopo quei tre eventi capitali, la riflessione degli ebrei italiani su se stessi e la loro identità non poteva non mutare e che quel tormentato e intenso dibattito continua ancora.

Il superficiale e autoconsolatorio approccio che in termini di opinione pubblica e divulgazione storica continua invece a prosperare tra gli italiani non ebrei è anche frutto di questa scarsissima conoscenza storica, del “prima” come del “dopo”.

Con gli ebrei d’Italia essi hanno convissuto per secoli e, come a Roma, addirittura millenni. Con l’unificazione nazionale sono cadute le norme discriminatorie e restrittive e gli ebrei hanno condiviso senza problemi luoghi, funzioni, impieghi, lavori e ogni aspetto della vita culturale e civile. Hanno condiviso vicinati e compagni di banco e di pianerottolo, dividendosi, come tutti gli italiani, in ogni possibile varietà di posizioni politiche e scelte ideali. Ma ciononostante, allo scoccare del fatale 1938, si stenta a rintracciare, pur nelle condizioni di conformismo coatto che il fascismo a tutti imponeva, un pur minimo ma significativo moto personale, se non collettivo, di protesta o almeno di disagio critico capace di dare un segno percepibile che non fosse il celato mormorio e il borbottio privato.

Ma anche dopo, il lavoro ingrato e penoso che gli ebrei italiani hanno compiuto su se tessi per darsi ragione dell’accaduto e per trovare posizioni corrispondenti all’evoluzione storica, inevitabilmente con una revisione critica dei presupposti identitari sino allora mantenuti, è stato e poco compreso e per nulla ricollocato in un processo di autocoscienza storica della comunità nazionale.

Eppure, la storia di un ebreo italiano e romano come Salvatore Fornari, che ebbe la ventura di vivere quasi per intero l’arco del secolo (1900-1993), riassume, pur nelle peculiarità personali, quella intera vicenda, che è storica e culturale insieme.

Ecco perché il libro della Antonucci su Salvatore Fornari è di grande utilità. Perché, al di là dei meriti di una ricerca storica di eccezionale e originale valore, dà conto di una vicenda umana e culturale esemplare.

Non può non commuovere ancora leggere, tra le poesie in romanesco di Fornari, versi come questi:Quinni se domannate a li romani / de riparlà er dialetto de Pasquino / eccheme qui: comincio da domani (Romanesca, 1978).
E riflettere allora su quale patrimonio di sentimenti e di affetti (per non parlare di quello storico e sociale) una piccolissima minoranza come quella ebraica (solo l’1 per mille, aveva sentenziato Mussolini per giustificarne l’esclusione da pubblici uffici e professioni) ha lasciato a tutti gli italiani, di ieri ma anche di oggi e, si spera, di domani.

Marco Brunazzi
** Vicepresidente dell'Istituto di Studi Storici Gaetano Salvemini di Torino e docente di Storia Contemporanea presso l'Università degli Studi di Bergamo.  

Articolo pubblicato su : "HaKeillah". Bimestrale ebraico torinese. Organo del Gruppo di Studi Ebraici. 


Silvia Haia Antonucci* "Un amore Capitale. Salvatore Fornari e Roma", Esedra editrice, Padova, 2014, € 19






martedì 19 maggio 2015

La lettera di Laura Malchiodi al Papa

Dopo il riconoscimento dello Stato di Palestina da parte della santa sede

Sua Santità, Le scrivo, ancora, perché trovo sempre più difficile considerarmi Cattolica. Eppure sono sempre stata molto vicina alla Chiesa, grazie anche al fatto che provengo da una famiglia molto religiosa, con due pro-zii Vescovi (Umberto Malchiodi, Vescovo di Piacenza e Gaetano Malchiodi, Vescovo a Loreto, erano fratelli di mio nonno Aldo)… ma non solo per questo. La lettura dei Vangeli, che ho cominciato alle medie e quella della Bibbia, che ho iniziato ad affrontare nel 1972, a 15 anni (grazie al regalo di zio don Umberto), mi hanno sempre più coinvolta. Ho poi conosciuto Madre Speranza, che mi ha detto che sarei rimasta delusa dalla Chiesa, ma che avrei dovuto lottare contro le sue storture e non avrei dovuto abbandonarla… Lei mi sta rendendo estremamente difficile mantenere questa promessa. Oggi, per la prima volta nella mia vita, non me la sento di andare a Messa.

E pensare che ero così felice quando L’ho vista la prima volta!

La Sua scelta del nome Francesco (il mio Santo preferito) mi aveva fatto sperare che Lei volesse in qualche modo testimoniare il suo distacco dai capitoli bui della nostra storia, che hanno visto i Gesuiti come protagonisti di pogrom e persecuzioni orribili nei confronti degli Ebrei… ma evidentemente mi sbagliavo.

E non Le scrivo solo a mio nome. Miei amici, conoscenti e parenti ogni giorno mi confessano il loro imbarazzo profondo e la crisi che stanno attraversando, grazie a Lei.

Le sue gaffes imbarazzanti in occasione del suo viaggio in Israele e in Cisgiordania… il suo assordante silenzio in occasione del rapimento dei tre ragazzi israeliani e la sua sollecita preghiera in occasione della tragica vendetta su un ragazzo palestinese, … la Sua assenza al Convegno ecumenico di Salerno dello scorso novembre (ha preferito andare ad elogiare il fedele alleato di Hamas, in Turchia),… e adesso il suo riconoscimento dello Stato Palestinese e la sua elezione di un capo terrorista ad “angelo della pace”… mi hanno sconvolta e profondamente ferita.

In questi mesi mi sono domandata il perché.

Ho pensato che forse Lei non ha letto mai gli statuti di Olp e Hamas, che negano in assoluto la possibilità di esistere a Israele (se è questo il caso, La invito a farlo subito). Condivido l’opinione che la pace in Israele potrà essere raggiunta solo attraverso negoziati che prevedano due Stati, e credo che sia questo il punto che l’Occidente dovrebbe sottolineare e pretendere, anche e soprattutto dai Palestinesi. È infatti noto che è questo il punto dolente, perché per Statuto, sia Olp che Hamas non possono accettare l’esistenza dello Stato ebraico israeliano ed è su questo punto, su questa richiesta di RECIPROCITÀ, che si sono arenati tutti i negoziati di pace.

L’Occidente finge di sostenere Israele, ma accetta che Israele non possa scegliere la propria capitale storica, Gerusalemme, perché l’idea non piace ai Palestinesi. E ai Palestinesi l’idea non piace perché per negare il futuro al popolo israeliano, negano anche la loro storia e la loro presenza millenaria in quei territori. (Stanno negando anche la nostra storia, al punto da dichiarare che Abramo e Gesù non erano ebrei, ma palestinesi… e celebrando la Liturgia a Betlemme con alle spalle quel manifesto di propaganda palestinese, Lei ha avvalorato – spero inconsapevolmente – questa assurda tesi…). Una cosa analoga è avvenuta in Armenia circa cento anni fa, e anche allora l’Occidente ha assistito indifferente (quando non ha collaborato attivamente) al genocidio armeno che ne è seguito.

Mi sono detta che forse non ha saputo della sentenza emessa dalla corte francese di Versailles, del 2013 (ed è risaputo che la Francia con Ebrei e Israele non è affatto tenera!). In questa occasione, il tribunale di Versailles ha stabilito che – secondo il diritto internazionale – quella di Giudea e Samaria è un’occupazione legittima, che non viola nessuna norma internazionale, contrariamente a quanto sostiene la propaganda di Olp e Anp, propaganda che – come sottolineato nella sentenza di Versailles – non costituisce diritto internazionale.

O forse, mi sono detta, non ha saputo che recentemente Anp e Olp e Hamas sono stati accusati di terrorismo da un altro tribunale, a New York. Anche il Suo interlocutore preferito, “l’angelo della pace” Abu Mazen, è stato condannato per atti terrorismo in questa occasione…. E una banca giordana è stata multata per aver finanziato, con prestiti, il terrorismo di Hamas. (E questo dovrebbe mettere in serio imbarazzo anche l’Europa, che da anni offre generosi finanziamenti ai Palestinesi, senza preoccuparsi di come vengono utilizzati).

Ma mi sono anche detta che una persona che sta utilizzando il potere politico che ha Lei, non può non aver prima studiato con attenzione la situazione e la storia di quei territori… quindi Le chiedo: perché?

Perché non ha reagito neppure alla richiesta europea e dell’Italia dell’etichettatura obbligatoria per le aziende israeliane che operano in Samaria e Giudea?

È difficile capire questa scelta italiana, anche considerando le ripetute promesse del nostro Governo di sostenere Israele, in quanto unico Stato democratico in mezzo ad una polveriera impazzita e minacciato seriamente dall’Iran.

È evidente che lo scopo della richiesta dell’etichettatura è finalizzata ad un prossimo boicottaggio, già in uso presso le cooperative italiane – e non solo – e che tanto ricorda le prime leggi razziali del periodo fascista… Davvero non comprende che cosa significa boicottare le aziende israeliane, dove lavorano anche molti arabi palestinesi e israeliani? Significa boicottare la normalizzazione, l’integrazione, la dignità di quel popolo, dignità che si ottiene con il lavoro, come Lei stesso ultimamente ha spesso ripetuto in riferimento alla disoccupazione in Italia. E boicottare questo, boicottare la normalizzazione, significa boicottare la pace.

Gli oltre 800.000 ebrei che vivevano da secoli nei paesi arabi, che dalla fine degli anni ’40 sono stati espropriati di soldi, case e terreni (i terreni espropriati corrispondevano a circa 5 volte lo Stato di Israele), sono stati accolti dal piccolo neonato stato israeliano e hanno avuto la possibilità di ricostruirsi una vita. Possibilità negata ai profughi palestinesi, visto che i Paesi arabi hanno rifiutato anche la proposta di dare loro parte delle ricchezze e dei terreni espropriati agli ebrei. Possibilità negata perché solo costringendoli a vivere da profughi, in cattività, impediscono loro di sentirsi uomini liberi e quindi non desiderosi di recriminare diritti assurdi (perché solo ai discendenti dei palestinesi questo diritto? Perché non ai discendenti degli ebrei? O degli italiani cacciati dall’Istria?…)

Ha mai pensato a cosa può condurre la Sua politica per i figli e i nipoti di quegli ebrei, che con tanta fatica si sono ricostruiti una vita, in Israele? Davvero considera giusto e legittimo sostenere chi li vuole – ancora una volta – cacciare ed espropriare di tutto? Anche della loro vita?

Sono trascorsi solo 70 anni dalla nostra presunta liberazione dal nazismo, dalle leggi razziali, da un antisemitismo becero e vergognoso. Cinquant’anni fa, veniva firmato il documento Nostra Aetate che avrebbe dovuto modificare radicalmente anche i rapporti tra Chiesa e mondo ebraico, aprendoci ad un dialogo onesto e alla pari (e non si immagina quanto mi renda orgogliosa l’ultima firma di quel documento!)

Eppure oggi, come negli anni ’20, stiamo ripercorrendo la stessa strada, commettendo gli stessi errori. E questo fa molto male.
E fa ancora più male assistere, ancora, impotenti, a certi comportamenti antisemiti in seno alla Chiesa…. ai vertici della Chiesa.
Sembra che quello che Le interessa non sia la pace in quei territori martoriati, ma colpire gli Ebrei…
Devo pensare che lo faccia per salvaguardare la vita dei cristiani in Medio Oriente e in Occidente? La storia ci insegna a non fidarci di tali allenze! Oltre al fatto che noi Cristiani siamo chiamati a fare scelte coraggiose! E il Vescovo di Roma dovrebbe essere il primo a dare l’esempio…

Le ho già scritto altre volte… allora speravo in una Sua risposta, perché lo stato in cui mi trovo – soprattutto per questi motivi – è davvero grave. Anche stanotte non ho dormito e Le ho twittato… ma evidentemente non Le interessa l’avermi ferita, così profondamente. D’altra parte chi sono io, per destare il Suo interesse?

Mi scuso per la durezza della mia lettera… ma quando sto male mi è difficile nascondere il mio stato e la gravità dei suoi ultimi atti non mi ha dato scelta.

Continuerò a pregare per Lei e perché il Signore mi aiuti a perdonarLa.

Laura Malchiodi

Fonte: www.Kolot.it

18 maggio 2015

Antisemitismo, Comunità Ebraiche, Cristianesimo, IsraeleTag:Abu Mazen,Palestina, Papa Francesco