venerdì 15 agosto 2014

Buenos Aires (Argentina) - Dialogo Ebraico-Cristiano





Dal 19 al 21 agosto avrà luogo in Buenos Aires (Argentina) l’annuale conferenza dell’ International Council of Christians and Jews (ICCJ) presieduta da Rav Abraham Skorka. Con la collaborazione dell’ American Interfaith Institute (AII), per la prima volta sarà possibile fruire, da parte di un auditorio on line, di otto Webinars (conferenze in live-streaming disponibili in Internet), che consentiranno una partecipazione virtuale ma interattiva ad alcune lezioni e gruppi di lavoro. 

Sarà possibile registrarsi alle pagine web dell’ American Interfaith Institute  http://www.americaninterfaith.org/iccj/

La conferenza dell’ ICCJ del 2015 si svolgerà a Roma, in occasione del 50° di "Nostra Aetate".

mercoledì 13 agosto 2014

Odio e fanatismo religioso

Non sono ideologie lontane.Stanno già in mezzo a noi!




Rav Riccardo di Segni


L'intolleranza è una malattia infantile di molte religioni, specialmente quelle monoteistiche. La malattia può guarire crescendo, oppure cronicizzarsi con alti e bassi oppure ricomparire all'improvviso come una recidiva pericolosa. Le recidive di questa malattia hanno insanguinato abbondantemente l'Europa dei secoli scorsi. Poi ad insanguinarla ci hanno pensato i nazionalismi e i totalitarismi, anche se qualche conflitto religioso non ci è mancato negli ultimi decenni (Irlanda del Nord, ex Yugoslavia). Però una volta sconfitti i totalitarismi e spenti i focolai locali pensavamo di essercela cavati. Invece no. Ecco che il nuovo millennio comincia simbolicamente con l'attacco alle torri gemelle di New York, un evento che avrà avuto pure radici politiche complesse, ma che non sarebbe stato possibile senza una carica di odio e fanatismo religioso. Ed ecco che ora scopriamo che intere regioni del continente africano e ampie zone dell'Iraq e della Siria sono devastate da eserciti che trovano la loro forza cementante ed identitaria in una visione religiosa espansiva e minacciosa e a farne le spese con la vita, la perdita della libertà o l'esilio, per chi ci riesce, sono masse di cristiani o di altre minoranze religiose di cui sapevamo a stento l'esistenza. Chissà per quale oscuro motivo mediatico di tutto questo si inizia a parlare nei titoli dei giornali e delle Tv solo adesso, quando le cifre delle vittime vanno oltre alle decine di migliaia.

Fino a poco tempo fa quando si scendeva in piazza per manifestare contro questi fatti (siamo riusciti a farlo a Roma un paio di volte mettendo insieme cristiani ed ebrei) il numero dei presenti era minimo e benché si gridasse all'indifferenza non c'erano molte autorità -anche religiose- e pubblico sensibile disposte ad ascoltare.

Forse perché i paesi di cui si parla ci sembrano lontani e con un inconfessabile subconscio senso di superiorità occidentali pensiamo che siano cose incivili tra gente incivile. Ma forse l'inciviltà è proprio quella nostra di non capire quanto questi eventi ci siano vicini, sia spiritualmente per la dignità e i diritti umani violati, sia geograficamente: non sono posti lontani, ci si arriva in tre ore di aereo. Non sono ideologie lontane, stanno già in mezzo a noi con i loro fedeli e sostenitori e non ce ne accorgiamo. Leggiamo del virus Ebola che miete vittime in Africa ma stiamo quasi tranquilli perché qui, si dice, non arriva. Nessuno ci garantisce che il virus del fanatismo religioso non approdi da queste parti, se non è già approdato. Nella storia della nostra comunità religiosa degli ultimi millenni abbiamo provato sulla nostra pelle cosa significhi odio, esaltazione e intolleranza, quale che ne sia la natura, ideologica o religiosa. E nel mondo occidentale si è riusciti a costruire sulle ceneri del passato un modello di convivenza al quale le diverse religioni, senza rinunciare a loro stesse, hanno portato un contributo decisivo.

Oggi tutto questo rischia di saltare avviando un micidiale processo regressivo. Bisogna fermarlo. Non si possono tollerare i morti per religione. Non si possono tollerare gli intolleranti.

Rav Riccardo Di Segni
Capo Rabbino della Comunità Ebraica di Roma


Fonte: La Stampa - mercoledì 13 agosto 2014

lunedì 11 agosto 2014

L' occidente e la sharia

Se torna a soffiare il vento del califfato 


Giorgio Israel

Fino a poco tempo era considerato paranoico chi prendeva sul serio i proclami della nascita di un nuovo califfato che avrebbe riconquistato l’Europa fino a Roma. Oggi rischia di far la figura della talpa chi non vede la concreta realizzazione di quel disegno. Esiste ormai un nuovo califfato non virtuale ma ancorato su un territorio, che si espande con una potenza militare inattesa, mette in fuga centomila cristiani e quarantamila curdi e distrugge le tracce di qualsiasi altra civiltà. Quei proclami un tempo ritenuti ridicoli riecheggiano dall’Iraq a Londra – dove un imam promette di sgozzare a Trafalgar Square chiunque non si assoggetterà alla Sharia – al Veneto – dove un altro imam incita a uccidere gli ebrei fino all’ultimo. Altri spezzoni del califfato emergono in tutto il Medio Oriente, fino alla Libia, a poca distanza dalle coste italiane e già emergono movimenti in Tunisia che si dichiarano pronti a combattere a fianco dell’esercito del califfato (Isis). Una parola chiara va anche detta sulla guerra di Gaza che ormai solo una talpa potrebbe non rendersi conto che va ben oltre il conflitto israelo-palestinese. Nessuno può mettere in discussione che tale conflitto resti il problema centrale sullo sfondo e che sia legittimamente aperto un ampio ventaglio di opinioni sul modo di risolverlo. Ma la sua riduzione a una questione umanitaria o addirittura a un’aggressione genocida da parte israeliana al popolo palestinese è un’inaccettabile contraffazione della verità che ha trovato espressione in un indegno striscione affisso (e fortunatamente poi rimosso) a Livorno. L’equazione Gaza = Auschwitz proposta da taluno è ridicola e scandalosa al contempo: non risulta che da Auschwitz fosse possibile bombardare le cittadine tedesche circostanti con missili ricevuti dall’esterno o preparare un assalto massiccio di centinaia di terroristi sbucati da tunnel costruiti con sussidi umanitari. Piuttosto occorre dire che nessuno stato sovrano potrebbe tollerare una simile aggressione al suo territorio e che riesca a contrastarlo con qualche efficacia non è una colpa bensì un fatto positivo. Il punto è che la questione israelo-palestinese – su cui entrambe le parti sono chiamate a scelte chiare, coraggiose e anche dolorose – potrà riemergere soltanto quando il campo sarà libero da chi persegue altri obiettivi: una guerra santa condotta con ogni mezzo, incluso il farsi scudo della popolazione civile, nel quadro di un assalto generalizzato che mira sia a imporre l’islam integralista a tutto il mondo musulmano, sia al cuore delle società occidentali. Dovrebbe far riflettere che esso si presenti, a distanza di anni, con forza e pericolosità tanto cresciute da rendere patetico il ricordo di Al Qaeda. E davanti a tutto ciò non vi è altro che debolezza e sbandamento crescenti. Sarebbe da ridere – se non fosse tragico ­– che, mentre mezzo Occidente è impegnato a indurire le punizioni contro chi non è d’accordo con il matrimonio gay, la British Law Society dia istruzioni a notai e avvocati perché accettino i testamenti redatti secondo le regole della Sharia che sono basati sulla condizione di totale subordinazione del coniuge femminile; o che gran parte del mondo musulmano francese abbia votato a destra di fronte alle leggi sul matrimonio e sull’educazione alla cultura del “genere” promosse dal governo socialista. Sono ulteriori manifestazioni di questa tendenza suicida la sostanziale indifferenza con cui sono accolte le persecuzioni dei cristiani (cosa deve succedere di peggio perché si esprima una chiara reazione?) e il dilagare di un nuovo antisemitismo che, ancora una volta, mette alla gogna gli ebrei come responsabili di tutti i mali del mondo e si manifesta in modo inquietante anche nel nostro paese con l’invito al boicottaggio dei negozi gestiti da ebrei.

Di fronte al disastro, l’ex-superpotenza mondiale non trova di meglio che scaricare qualche bomba episodica farfugliando di transazioni diplomatiche con chi non ne vuol sentir neppure parlare. È chiaro che la paralisi statunitense è generata da una sequenza di politiche sbagliate, prodotte dall’incapacità di comprendere anche antropologicamente le dinamiche dei territori coinvolti. Ma gli errori non giustificano il voltarsi dall’altra parte di fronte a un dramma di dimensioni epocali che, più prima che poi, riguarda tutti. E ancor meno è giustificabile la totale irrilevanza dell’Unione europea che tende a cancellare le politiche nazionali per sostituirvi il nulla, come insegnano vicende che riguardano da vicino il nostro paese, ovvero il dramma dell’immigrazione di massa che l’occhiuta eurocrazia ci impone di affrontare con il massimo in quantità e qualità dell’accoglienza per poi offrire un muro di spalle di fronte alla richiesta di delineare una linea politica continentale. E, anche qui, solo una talpa potrebbe non vedere le connessioni tra l’afflusso migratorio e le campagne militari dell’integralismo. È noto che l’irrilevanza europea nella politica estera è conseguenza dell’aver costruito l’intero edificio comunitario sul terreno dell’economia, mettendo il resto in secondo piano. Questa constatazione dovrebbe condurre in tempi rapidissimi a capire che avanti a tutto viene la politica. I califfati bussano imperiosamente alle porte e traggono incoraggiamento dall’ignavia di quello che, piaccia o no, è il loro nemico dichiarato.

Giorgio Israel


http://gisrael.blogspot.it/2014/08/se-torna-soffiare-il-vento-del-califfato.html

(Il Mattino, 10 agosto 2014)