Sempre nella memoria.
L'ATTENTATO terroristico alla Sinagoga di Roma, nel toccante racconto di una persona a noi molto cara: Emanuele Pacifici. Il suo ricordo sia sempre in benedizione!
Il 9 ottobre 1982, Shabbat Sheminì Azeret, era una tiepida giornata d'autunno.
Verso mezzogiorno,
terminata la funzione, la gente cominciò ad uscire dal tempio. Alcuni si
diressero subito verso casa, altri, come di abitudine, si fermarono qualche
minuto davanti alla sinagoga per scambiare due chiacchiere. Io naturalmente ero
tra quelli perché per me è sempre un piacere potermi soffermare davanti a quei
giardini con gli amici di sempre o con quelli che magari è anni che non capita di
incontrarsi.
D'improvviso udii
una esplosione violentissima vicino a me e sentii un colpo fortissimo alla
testa, tanto che gridai: «Ci stanno tirando i sassi!». Un attimo dopo un'altra deflagrazione
mi colpì in pieno: era una bomba a mano. Una scheggia
destinata a ferirmi il cuore si conficcò nell'antico libro di preghiere che
tenevo sotto il braccio sinistro.
Prima che avessi il
tempo di rendermi conto di cosa stava succedendo, si susseguirono altre
violente esplosioni il cui frastuono si sovrappose alle urla di panico. Vedevo
tanto sangue, ma non capivo dove fossi stato ferito; con le mani compresse
sullo stomaco, corsi fuori dal cancello del Tempio e sempre correndo, per via
Catalana, andai verso il ponte Quattro Capi. Alla fine di via Catalana, dove si
immette in via Portico di Ottavia, ebbi l'impulso di voltarmi, ma con perfetta lucidità
ricordai il passo della Torà in cui Abramo dice a Lot: «Mettiti in salvo,
non ti voltare e non fermarti in tutta la pianura» (Genesi 19,17). Con le ultime
energie che mi rimanevano, feci un ultimo sforzo per raggiungere il vicino
ospedale Fatebenefratelli sull'isola Tiberina. Quando arrivai
davanti all'entrata della chiesetta di Monte Savello, ancora si udivano le
esplosioni e il crepitìo delle mitragliatrici. Qui mi accasciai tra le braccia
di un passante, Anselmo Astrologo.
Il libro di preghiere che tenevo ancora stretto in mano cadde per terra, ma
prima di perdere i sensi riuscii a dire: «La prego, raccolga quel libro, lo
baci, è un libro sacro di
preghiere!». Le ferite più
terribili erano al ventre e alla gola, ma erano stati colpiti anche l'occhio
sinistro, un braccio, una gamba. Fui portato dentro
all'ospedale dove in un primo momento sembrò che non ci fossero speranze; più
tardi accorse il rabbino Toaff che mi impartì la berachà
dei moribondi, ma mentre le sue mani,
le sante mani di mio padre, erano tese nel gesto sacerdotale della berachà,
dalla mie labbra sfuggì un lamento. Il rabbino Toaff allora implorò un medico:
«Fate qualcosa, è vivo!». Immediatamente fui portato in sala operatoria dove mi
praticarono subito la tracheotomia. Rimasi sotto operazione per quasi sette
ore. Grazie al dottor Oliviero Schilirò, al dottor Stefano Picchioni e
all'infermiera del reparto di rianimazione Anna Bussetta che mi assistettero con
abilità e grande umanità, e grazie ai miei genitori che mi assistettero in
cielo, ebbi salva la vita.
Appena fui in grado di parlare, chiesi di riavere il mio libro di preghiere che mia moglie Gioia mi portò insieme a quello dei Salmi. Seguendo l'insegnamento del mio rabbino aprii a caso il libro dei Salmi e vi lessi il salmo 17, il salmo della vita.
Durante la degenza
in rianimazione che durò nove interminabili giorni, accadde un episodio che mi
è caro. Stavo leggendo i Salmi, quando mi addormentai. Risvegliandomi vidi in
fondo al letto un sacerdote che pregava con fervore e immaginando che fosse
venuta la mia ora gli dissi che ero di religione ebraica e che se la mia ora
era venuta, mandasse a chiamare subito il rabbino Toaff. Il sacerdote mi
rassicurò dicendomi che stava soltanto pregando per me. Io apprezzai moltissimo
il suo gesto e ci salutammo. Dopo neanche mezz'ora era di ritorno, aveva una
cosa importante da dirmi: «Emanuele, voi avete gli stessi nostri Salmi!». Io non potevo
parlare: feci cenno di sì con la testa.
Nel frattempo si
chiariva la dinamica dell'attentato: era stato opera di un commando di
terroristi arabi. Erano state ferite cinquanta persone ed era stato ucciso un
bambino di due anni, Stefano Taché. La madre Daniela Gay e
il fratello più grande Gadiel erano stati feriti. Tra i feriti
c'erano anche la zia Giuditta, suo figlio Nathan insieme alla moglie Renata e
ai loro bambini Joram
e Shulamit. C'era mio nipote David Piazza, suo cugino di quattro anni Jonathan,
i miei vicini di casa Eliana e Nissim Hazzan, che per proteggere la figlia di due
anni fu colpito a un occhio. La lista dei nomi sarebbe troppo lunga, ma il
cuore trema ancora di più se si pensa quali dimensioni poteva assumere la
tragedia dal momento che quel giorno, Sheminì Azeret, il Tempio era pieno di
bambini,venuti, come è usanza a Roma, per avere la berachà dal rabbino
sulla tevà.
L'abilità del
professor Cucchiara, che con pazienza certosina ha cercato di rimediare ai
danni molteplici causatimi dalle ferite, è stata essenziale perché potessi
continuare a vivere, ma non meno essenziale è stato l'amore dei miei cari e le
infinite testimonianze di affetto che mi sono pervenute da tanti, tanti amici.
Particolarmente caro mi fu il messaggio che in quei giorni mi giunse da parte
di monsignor Francesco Repetto, il sacerdote che tentò invano di salvare mio
padre quando si trovava nel carcere di Marassi.
Termino qui questi
miei ricordi che ho scritto per i miei figli e forse, in parte, anche per me
stesso, per rivisitare in un faticoso percorso di riconciliazione gli eventi di
una vita non facile.
Il Signore Iddio mi
è stato vicino e mi ha guidato. Le persone che ho incontrato lungo il cammino
della mia vita sono state in gran parte persone eccellenti dalle quali ho potuto
avere buoni consigli e un aiuto concreto. Ma ho dovuto scegliere sempre da solo
tra il bene e il male. Spero di avere
scelto il giusto.
Ai miei figli,
facendo mie le parole di Anna Frank,
voglio dire: «Nonostante tutto credo
ancora nell'infinita bontà dell'uomo».
(tratto da: "Non ti voltare" di Emanuele Pacifici, Editrice La Giuntina)
A cura di Per Amore di Gerusalemme
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