COMMISSIONE PER I RAPPORTI RELIGIOSI CON L’EBRAISMO
"PERCHÉ I DONI E LA CHIAMATA DI DIO SONO IRREVOCABILI"
(Rm 11,29)
(Rm 11,29)
RIFLESSIONI SU QUESTIONI TEOLOGICHE ATTINENTI
ALLE RELAZIONI CATTOLICO-EBRAICHE IN OCCASIONE
DEL 50º ANNIVERSARIO DI NOSTRA AETATE (N. 4)
ALLE RELAZIONI CATTOLICO-EBRAICHE IN OCCASIONE
DEL 50º ANNIVERSARIO DI NOSTRA AETATE (N. 4)
INDICE
1. Breve
storia dell’impatto di "Nostra aetate" (n. 4) nel corso degli ultimi
50 anni2. Lo statuto teologico speciale del dialogo ebraico-cattolico
3. La rivelazione nella storia come "Parola di Dio" nell’ebraismo e nel cristianesimo
4. La relazione tra Antico e Nuovo Testamento e tra Antica e Nuova Alleanza
5. L’universalità della salvezza in Gesù Cristo e l’alleanza mai revocata di Dio con Israele
6. Il mandato evangelizzatore della Chiesa in relazione all’ebraismo
7. Gli obiettivi del dialogo con l’ebraismo
PREFAZIONE
1. Breve storia dell’impatto di Nostra aetate (n. 4) nel corso degli ultimi 50 anni
1. "Nostra aetate" (n. 4) è giustamente annoverata tra quei documenti del Concilio Vaticano Secondo che, con particolare efficacia, sono riusciti a dare un nuovo orientamento alla Chiesa cattolica. Questo cambiamento nelle relazioni della Chiesa con il popolo ebraico e con l’ebraismo è percepibile con chiarezza solo se teniamo conto del fatto che, precedentemente, esistevano grandi riserve da entrambe le parti, anche perché la storia del cristianesimo è stata vista come segnata da discriminazioni nei confronti dell’ebraismo e persino da tentativi di conversione coatta (cfr. "Evangelii gaudium", n. 248). Sullo sfondo di questa complessa relazione vi è, tra l’altro, un rapporto asimmetrico: gli ebrei hanno dovuto spesso confrontarsi, quale minoranza, con una maggioranza cristiana, dalla quale sono stati non di rado dipendenti. L’ombra oscura e terribile della Shoah sull’Europa durante il periodo nazista ha spinto
2. L’apprezzamento di fondo espresso nei confronti dell’ebraismo in "Nostra aetate" (n. 4) ha contribuito a far sì che comunità nel passato scettiche le une di fronte alle altre si trasformassero col tempo, passo dopo passo, in partner affidabili e addirittura in buoni amici, in grado di far fronte insieme alle crisi e di gestire i conflitti in modo positivo. Il quarto articolo di "Nostra aetate" è dunque considerato come un solido fondamento per gli sforzi tesi a migliorare le relazioni tra cattolici ed ebrei.
3. Ai fini di un’implementazione concreta di "Nostra aetate" (n. 4), il 22 ottobre 1974 fu istituita dal Beato Papa Paolo VI la Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, che, sebbene collegata dal punto di vista organizzativo al Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, è indipendente a livello operativo; essa è incaricata di seguire e promuovere il dialogo religioso con l’ebraismo. Anche da una prospettiva teologica, il legame tra
4. L’anno stesso della sua fondazione,
6. Un terzo documento della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo è stato presentato al pubblico il 16 marzo 1998. Esso si occupa della Shoah ed è intitolato "Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah". Il testo, esprimendo un giudizio severo ma accurato, evidenzia che il bilancio dei 2000 anni di relazioni tra ebrei e cristiani è purtroppo negativo. Esso richiama alla memoria l’atteggiamento dei cristiani nei confronti dell’antisemitismo dei nazionalsocialisti e si concentra sul dovere dei cristiani di ricordare la tragedia umana della Shoah. In una lettera all’inizio di questa dichiarazione, il Santo Papa Giovanni Paolo II esprime la sua speranza che il documento "aiuti veramente a guarire le ferite delle incomprensioni ed ingiustizie del passato. Possa esso abilitare la memoria a svolgere il suo necessario ruolo nel processo di costruzione di un futuro nel quale l’indicibile iniquità della Shoah non sia mai più possibile."
7. Tra i documenti della Santa Sede, va menzionato il testo pubblicato dalla Pontificia Commissione Biblica il 24 maggio 2001, che si occupa esplicitamente del dialogo ebraico-cattolico: "Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana". Questo è il più importante documento esegetico e teologico del dialogo ebraico-cattolico ed è una miniera di temi comuni che si basano sulle Scritture dell’ebraismo e del cristianesimo. Il testo considera le Sacre Scritture del popolo ebraico come "parte fondamentale della Bibbia cristiana", ne tratta i temi basilari, come pure la loro accoglienza all’interno della fede in Cristo, e illustra nel dettaglio il modo in cui gli ebrei sono presentati nel Nuovo Testamento.
8. Testi e documenti, per quanto importanti, non possono sostituire gli incontri personali ed i dialoghi faccia a faccia. Il dialogo ebraico-cattolico, i cui primi passi sono stati intrapresi sotto il Beato Papa Paolo VI, è stato ulteriormente promosso e approfondito dal Santo Papa Giovanni Paolo II, attraverso i suoi eloquenti gesti nei confronti del popolo ebraico. Primo tra i papi a recarsi nell’ex campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau per pregare per le vittime della Shoah, egli ha anche visitato la Sinagoga di Roma per esprimere la sua solidarietà alla comunità ebraica. Nel contesto di un pellegrinaggio storico in Terra Santa, è stato ospite dello Stato di Israele, dove ha partecipato ad incontri interreligiosi, ha reso visita ai due Rabbini Capo ed ha pregato al Muro Occidentale. Regolari sono stati i suoi incontri con gruppi di rappresentanti ebraici sia in Vaticano che durante i suoi numerosi viaggi apostolici. Anche il suo successore, Papa Benedetto XVI, già prima della sua elezione al soglio pontificio, si è impegnato nel dialogo ebraico-cattolico offrendo, in una serie di conferenze, importanti riflessioni teologiche sul rapporto tra Antica e Nuova Alleanza e tra Sinagoga e Chiesa. A seguito della sua elezione, egli, sulle orme del Santo Papa Giovanni Paolo II, ha continuato a promuovere questo dialogo nel modo a lui proprio, compiendo gesti altrettanto pregnanti ed esprimendo il suo apprezzamento per l’ebraismo attraverso la forza delle sue parole. Anche l’allora Cardinale Jorge Mario Bergoglio, come Arcivescovo di Buenos Aires, ha avuto a cuore la promozione del dialogo ebraico-cattolico, contando tra i suoi amici molti ebrei dell’Argentina. Attualmente come Papa, continua ad intensificare, a livello internazionale, il dialogo con l’ebraismo attraverso numerosi incontri amichevoli. Tra questi, uno dei primi è stato quello avvenuto nel maggio 2014 in Israele, dove il Papa ha incontrato i due Rabbini Capo, ha visitato il Muro Occidentale ed ha pregato per le vittime della Shoah allo Yad Vashem.
9. Già prima dell’istituzione della Commissione della Santa Sede, esistevano contatti e relazioni con varie organizzazioni ebraiche, condotti attraverso l’allora Segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani. Avendo l’ebraismo molte sfaccettature e non presentandosi in maniera unitaria dal punto di vista organizzativo,
10. L’IJCIC ha cominciato i suoi lavori nel 1970 e già l’anno successivo è stata organizzata a Parigi la prima conferenza congiunta. Le varie conferenze che hanno avuto luogo da allora rientrano nelle competenze di quell’organismo chiamato International Catholic-Jewish Liaison Committee (ILC) e danno forma alla collaborazione tra l’IJCIC e
11. Oltre al dialogo con l’IJCIC, vanno menzionate le conversazioni istituzionali con il Gran Rabbinato d’Israele, che possono essere indubbiamente considerate come frutto dell’incontro che il Santo Papa Giovanni Paolo II ha avuto a Gerusalemme con i due Rabbini Capo durante la sua breve visita in Israele nel marzo 2000. La prima conversazione è stata organizzata a Gerusalemme nel giugno 2002; da allora, ogni anno ha luogo un incontro, che si tiene in alternanza a Roma e a Gerusalemme. Essendo le due delegazioni relativamente piccole, è possibile condurre una discussione personale ed intensa su vari temi, tra i quali la santità della vita, la condizione della famiglia, il significato delle Sacre Scritture per la vita nella società, la libertà religiosa, i principi etici dell’agire umano, la sfida ecologica, il rapporto tra autorità secolare ed autorità religiosa ed i requisiti essenziali di una leadership religiosa nella società secolare. Il fatto che i rappresentanti cattolici che partecipano agli incontri siano vescovi e sacerdoti e che i rappresentanti ebraici siano quasi esclusivamente rabbini presenta il vantaggio di poter affrontare i singoli argomenti anche da una prospettiva religiosa. In tal senso, il dialogo con il Gran Rabbinato d’Israele ha permesso di allacciare relazioni più aperte tra l’ebraismo ortodosso e
12. Il lavoro della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo della Santa Sede non si limita naturalmente a questi due dialoghi istituzionali.
13. Nel corso degli ultimi decenni, sia il "dialogo ad extra" che il "dialogo ad intra" hanno portato con crescente chiarezza alla consapevolezza che cristiani ed ebrei sono irreversibilmente interdipendenti gli uni dagli altri e che il loro dialogo, dal punto di vista teologico, non è un’opzione arbitraria, ma un dovere. Ebrei e cristiani possono arricchirsi vicendevolmente nella loro amicizia. Senza le sue radici ebraiche,
2. Lo statuto teologico speciale del dialogo ebraico-cattolico
14. Il dialogo con l’ebraismo è qualcosa di assolutamente speciale per i cristiani, poiché il cristianesimo ha radici ebraiche che determinano l’unicità delle relazioni tra le due tradizioni (cfr."Evangelii gaudium", n. 247). Nonostante la rottura storica ed i dolorosi conflitti che ne sono derivati,
15. Il dialogo tra ebrei e cristiani può essere definito solo per analogia "dialogo interreligioso", ovvero dialogo tra due religioni intrinsecamente separate e differenti. Non si tratta infatti di due religioni aventi natura fondamentalmente diversa, che si sono sviluppate l’una indipendentemente dall’altra senza reciproca influenza. L’humus di ebrei e cristiani è l’ebraismo del tempo di Gesù, che ha dato origine non solo al cristianesimo, ma anche all’ebraismo rabbinico postbiblico successivo alla distruzione del Tempio nel 70 d.C., ebraismo che aveva dovuto fare a meno del culto sacrificale e che si era incentrato esclusivamente, nel suo ulteriore sviluppo, sulla preghiera e sull’interpretazione della rivelazione divina sia scritta che orale. Ebrei e cristiani hanno dunque la stessa origine e possono essere considerati come fratelli che hanno preso, come avviene di solito tra fratelli, strade diverse. Le Scritture dell’antico Israele sono parte integrante delle Scritture sia dell’ebraismo che del cristianesimo, considerate da entrambi come Parola di Dio, Rivelazione, storia della salvezza. I primi cristiani erano ebrei che naturalmente si riunivano, come membri della comunità, nella sinagoga, rispettavano le prescrizioni religiose alimentari, lo Shabbat ed il comandamento della circoncisione, ma al contempo confessavano Gesù come il Cristo, il Messia inviato da Dio per la salvezza di Israele e di tutta l’umanità. Con Paolo, il "movimento ebraico per Gesù" si aprì in maniera definitiva a nuovi orizzonti, travalicando così le sue radici ebraiche. Gradualmente, il suo pensiero si impose, ovvero l’idea che non fosse necessario ad un non-ebreo diventare prima ebreo per confessare Cristo. Nei primi tempi della Chiesa, vi erano dunque i cosiddetti giudeo-cristiani ed i cristiani gentili, la "ecclesia ex circumcisione" e la "ecclesia ex genti bus", una Chiesa di origine giudaica, l’altra di origine pagana, ma che, insieme, costituivano l’una ed unica Chiesa di Gesù Cristo.
16. La separazione della Chiesa dalla Sinagoga non avvenne però bruscamente, ma, sulla base di recenti conoscenze, sembra che si sia protratta fino al terzo o quarto secolo. Ciò significa che molti giudeo-cristiani dei primi tempi non percepivano come contraddittorio vivere conformemente ad alcuni aspetti della tradizione ebraica e confessare Gesù come il Cristo. Soltanto quando i gentili iniziarono a rappresentare la maggioranza e, all’interno della comunità ebraica, la polemica sulla figura di Cristo acquisì contorni più marcati, una separazione definitiva sembrò ormai inevitabile. Col passare del tempo, i due fratelli – ebraismo e cristianesimo – si allontanarono sempre più, crebbe l’inimicizia tra loro e si ricorse anche alla reciproca diffamazione. I cristiani si figuravano spesso gli ebrei come dannati da Dio e ciechi, perché incapaci di riconoscere Gesù quale Messia e Salvatore. Gli ebrei percepivano non di rado i cristiani come eretici che seguivano non il cammino originario indicato da Dio, ma la loro strada. Non senza motivo, negli Atti degli Apostoli, il cristianesimo è chiamato la "dottrina" (cfr. At 9,2; 19,9.23; 24,14.22), in contrasto con la Halachà ebraica che regola l’interpretazione normativa ai fini di una condotta pratica. Con il tempo, ebraismo e cristianesimo si sono estraniati sempre più, arrivando persino ad acerrimi conflitti ed all’accusa reciproca di aver abbandonato il cammino prescritto da Dio.
17. Molti padri della Chiesa favorirono sempre più la cosiddetta teoria della sostituzione (o "supersessionismo") tanto che, nel Medioevo, essa divenne il fondamento teologico generale per le relazioni con l’ebraismo: poiché Israele non aveva riconosciuto Gesù come il Messia e il Figlio di Dio, le promesse e l’impegno di Dio non valevano più per Israele, ma si rivolgevano alla Chiesa di Gesù Cristo che era ora il vero "nuovo Israele", il nuovo popolo eletto da Dio. Nati dallo stesso humus, ebraismo e cristianesimo erano giunti nel corso dei secoli dopo la loro separazione ad un antagonismo teologico che soltanto con il Concilio Vaticano Secondo si sarebbe stemperato. Con la sua Dichiarazione "Nostra aetate" (n. 4),
18. Si è tentato spesso di individuare il fondamento della teoria della sostituzione nella Lettera agli Ebrei. Tuttavia, questa epistola non si rivolge agli ebrei, ma ai cristiani di origine ebraica, che iniziavano a sentirsi stanchi ed insicuri. Il suo intento è di rafforzare la loro fede e di incoraggiarli nella loro perseveranza, indicando Gesù Cristo come il vero e definitivo sommo sacerdote, il mediatore della Nuova Alleanza. È questo il contesto che occorre tenere a mente per comprendere il contrasto, nella Lettera, tra una prima Alleanza, puramente terrena, ed una seconda Alleanza, nuova (cfr. Eb 9,15; 12,24) e migliore (cfr. 8,7). La prima Alleanza è definita antiquata, già invecchiata e prossima a sparire (cfr. 8,13), mentre la nuova Alleanza è detta eterna (cfr. 13,20). Per giustificare questo contrasto, l’epistola si riferisce alla promessa di una nuova alleanza nel Libro del profeta Geremia 31,31-34 (cfr. Eb 8,8-12). Ciò mostra che
19. Ad un osservatore esterno,
20. Tuttavia, rispetto alle altre religioni mondiali, il dialogo con l’ebraismo, da un punto di vista teologico, ha un carattere completamente diverso e si situa ad un altro livello. La fede degli ebrei testimoniata nella Bibbia, fede che si ritrova nell’Antico Testamento, non è per i cristiani un’altra religione, ma è il fondamento della loro stessa fede, sebbene la figura di Gesù sia chiaramente l’unica chiave di interpretazione cristiana delle Scritture dell’Antico Testamento. La pietra d’angolo della fede cristiana è Gesù (cfr. At 4,11;
3. La rivelazione nella storia come "Parola di Dio" nell’ebraismo e nel cristianesimo
21. Nell’Antico Testamento ci viene presentato il piano salvifico di Dio per il suo popolo (cfr. "Dei verbum", n. 14). Questo piano salvifico è espresso chiaramente all’inizio della storia biblica, nella chiamata di Abramo (cfr. Gen 12 ss). Per rivelare se stesso e per parlare all’umanità, redimendola dal peccato e radunandola come un unico popolo, Dio ha iniziato con lo scegliere il popolo di Israele attraverso Abramo, separandolo dagli altri popoli. A questo popolo Dio si è rivelato poco a poco per mezzo dei suoi inviati, dei suoi profeti, come il vero Dio, l’unico Dio, il Dio vivente, il Dio redentore. L’elezione divina è un aspetto costitutivo del popolo di Israele. Soltanto dopo il primo grande intervento del Dio redentore, la liberazione dalla schiavitù d’Egitto (cfr. Es 13,17 ss) e la stipula dell’Alleanza sul Sinai (cfr. Es 19 ss), le dodici tribù sono diventate una vera e propria nazione ed hanno acquisito la consapevolezza di essere il popolo di Dio, coloro ai quali erano stati trasmessi il messaggio di Dio e le sue promesse, i testimoni della benevolenza misericordiosa di Dio nel mezzo delle nazioni ed anche per il bene delle nazioni (cfr. Is 26,1-9; 54; 60; 62). Per istruire il suo popolo su come adempiere la sua missione e su come trasmettere la rivelazione affidatagli, Dio ha dato ad Israele la legge che definisce come deve vivere (cfr. Es 20; Dt 5) e che lo distingue dagli altri popoli.
22. Come
23.
24. Dio si è rivelato nella sua Parola, così che può essere compreso dall’umanità in situazioni storiche concrete. Questa Parola invita tutti gli uomini a rispondere. Se la loro risposta è in accordo con
25. L’ebraismo e la fede cristiana, così come sono presentati nel Nuovo Testamento, sono due modi in cui il popolo di Dio può far proprie le Sacre Scritture di Israele. Le Scritture che i cristiani chiamano Antico Testamento sono dunque aperte ad entrambi i modi. Una risposta alla Parola salvifica di Dio che sia conforme all’una o all’altra tradizione può dunque dischiudere l’accesso a Dio, sebbene spetti all’intervento divino determinare in che modo egli intenda salvare gli uomini in ciascuna circostanza. Il fatto che la volontà salvifica di Dio sia rivolta a tutta l’umanità è testimoniato dalle Scritture (cfr. Gen 12,1-3; Is 2,2-5; 1 Tm 2,4). Pertanto, non esistono due strade diverse che conducono alla salvezza, secondo il motto "Gli ebrei sono fedeli alla Torah, i cristiani a Cristo". La fede cristiana professa che l’opera salvifica di Cristo è universale e si rivolge a tutti gli uomini.
4. La relazione tra Antico e Nuovo Testamento e tra Antica e Nuova Alleanza
27. L’Alleanza offerta da Dio a Israele è irrevocabile. "Dio non è un uomo da potersi smentire" (Nm 23,19; cfr. 2 Tm 2,13). La permanente fedeltà elettiva di Dio espressa nelle alleanze precedenti non è mai stata ripudiata (cfr. Rm 9,4; 11,1-2).
28. Unità e differenze tra ebraismo e cristianesimo sono apparse in primo piano innanzitutto con la testimonianza della rivelazione divina. Per il fatto che l’Antico Testamento è parte integrante dell’unica Bibbia cristiana, vi è un senso di appartenenza profondamente radicato ed un intrinseco legame tra ebraismo e cristianesimo. Il cristianesimo affonda le sue radici nell’Antico Testamento e da tali radici trae continuamente nutrimento. Ma il cristianesimo si fonda sulla persona di Gesù di Nazareth, che è riconosciuto come il Messia promesso al popolo ebraico e come l’unigenito Figlio di Dio e che, dopo la sua morte in croce e la sua risurrezione, ha comunicato se stesso per mezzo dello Spirito Santo. Con l’esistenza del Nuovo Testamento, molto presto si è posta la domanda di capire come i due Testamenti si rapportano l’uno all’altro e se ad esempio gli scritti neotestamentari non abbiano superato tutti gli scritti più antichi, annullandone la validità. Questa era la posizione sostenuta nel secondo secolo da Marcione, il quale affermò che il Nuovo Testamento aveva reso obsoleto il libro di promesse dell’Antico Testamento, destinato a svanire nello splendore del Nuovo, proprio come la luce della luna è resa superflua dal sorgere del sole. Questa marcata antitesi tra Bibbia ebraica e Bibbia cristiana non è mai diventata dottrina ufficiale della Chiesa cristiana. Escludendo Marcione dalla comunità cristiana nel 144,
29. Questa, naturalmente, è soltanto una faccia del rapporto tra i due Testamenti. Il patrimonio comune dell’Antico Testamento non ha solo costituito la base fondamentale del legame spirituale tra ebrei e cristiani, ma ha anche comportato una tensione di fondo nelle relazioni tra le due tradizioni di fede. Questo traspare dal fatto che i cristiani leggono l’Antico Testamento alla luce del Nuovo, nella convinzione dichiarata da Agostino nella sua pregnante formula: "L’Antico Testamento si mostra nel Nuovo, mentre il Nuovo è nascosto nell’Antico" (Quaestiones in Heptateuchum 2,73). Papa Gregorio Magno si espresse in maniera analoga quando definì l’Antico Testamento "profezia del Nuovo" ed il Nuovo "il migliore commento all’Antico" (Homiliae in Ezechielem I, VI, 15; cfr. "Dei verbum", n. 16).
30. Questa esegesi cristologica può facilmente dare l’impressione che i cristiani considerino il Nuovo Testamento non solo come compimento dell’Antico, ma anche come sua sostituzione. Per capire l’infondatezza di tale impressione basti pensare al fatto che anche l’ebraismo, dopo la catastrofe della distruzione del secondo Tempio nell’anno 70, si vide costretto ad adottare una nuova lettura delle Scritture. Poiché i sadducei, che erano legati al Tempio, non sopravvissero a tale catastrofe, i rabbini, sulla scia dei farisei che avevano già sviluppato il loro modo particolare di leggere ed interpretare le Scritture, portarono avanti questa attività esegetica, senza più il Tempio quale centro del culto ebraico.
31. Di conseguenza, si profilarono due risposte a questa situazione o, per meglio dire, due nuovi modi di leggere le Scritture, ovvero l’esegesi cristologica dei cristiani e l’esegesi rabbinica di quella forma di ebraismo che ebbe uno sviluppo storico. Poiché ciascuna modalità comportava una nuova interpretazione delle Scritture, la questione cruciale consiste ora nel comprendere precisamente come queste due modalità si rapportano l’una all’altra. Tuttavia, dato che
32. Poiché entrambe le letture sono al servizio di una giusta comprensione della volontà e della Parola di Dio, è evidente quanto sia importante essere consapevoli che la fede cristiana è radicata nella fede di Abramo. Ciò solleva l’ulteriore questione di capire come si rapportano tra loro Antica e Nuova Alleanza. Per la fede cristiana è inconfutabile che possa esserci soltanto un’unica storia dell’alleanza tra Dio e l’umanità. L’alleanza con Abramo, il cui segno è la circoncisione (cfr. Gen 17), e la seconda alleanza con Mosè ristretta ad Israele, che vincola all’obbedienza di fronte alla Legge (cfr. Es 19,5; 24,7-8) ed in particolare all’osservanza dello Shabbat (cfr. Es 31,16-17), sono state estese all’intera creazione (cfr. Gen 9,9 ss) nell’alleanza con Noè, il cui segno è l’arcobaleno (cfr. "Verbum Domini", n. 117). Attraverso i profeti poi, Dio propone una nuova ed eterna alleanza (cfr. Is 55,3; 61,8; Ger 31,31-34; Ez 36,22-28). Ciascuna di queste alleanze incorpora la precedente e la interpreta in maniera nuova. Questo vale anche per
33. Per il dialogo ebraico-cristiano, si rivela costitutiva soprattutto l’alleanza di Dio con Abramo, poiché egli non è solo il padre di Israele, ma è anche il padre della fede dei cristiani. In questa comunione di alleanza, deve essere chiaro per i cristiani che l’alleanza stretta da Dio con Israele, in virtù dell’incrollabile fedeltà di Dio al suo popolo, non è mai stata revocata e rimane valida; di conseguenza,
34. Che possa esserci soltanto un’unica storia dell’alleanza di Dio con l’umanità e che, di conseguenza, Israele sia il popolo eletto e amato da Dio, il popolo dell’alleanza, che non è mai stata sostituita o revocata (cfr. Rm 9,4; 11,29), è la convinzione alla base dell’appassionato sforzo dell’Apostolo Paolo di conciliare, da un lato, il fatto che l’Antica Alleanza di Dio continua ad essere valida e, dall’altro, il fatto che Israele non ha accolto
5. L’universalità della salvezza in Gesù Cristo e l’alleanza mai revocata di Dio con Israele
35. Poiché Dio non ha mai revocato la sua alleanza con il suo popolo Israele, non possono esserci vie o approcci diversi alla salvezza di Dio. La teoria che afferma l’esistenza di due vie salvifiche diverse, la via ebraica senza Cristo e la via attraverso Cristo, che i cristiani ritengono essere Gesù di Nazareth, metterebbe di fatti a repentaglio le basi della fede cristiana. Confessare la mediazione salvifica universale e dunque anche esclusiva di Gesù Cristo fa parte del fulcro della fede cristiana tanto quanto confessare il Dio uno e unico, il Dio di Israele che, rivelandosi in Gesù Cristo, si è manifestato pienamente come il Dio di tutti i popoli, nella misura in cui in Cristo si è compiuta la promessa che tutti i popoli pregheranno il Dio di Israele come l’unico Dio (cfr. Is 56,1-8). Nel documento pubblicato nel 1985 dalla Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo della Santa Sede "Circa una corretta presentazione degli ebrei e dell’ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa cattolica" si afferma dunque che
36. Dalla confessione cristiana di un’unica via di salvezza non consegue, però, che gli ebrei sono esclusi dalla salvezza di Dio perché non credono in Gesù Cristo quale Messia di Israele e Figlio di Dio. Tale affermazione non troverebbe fondamento nella visione soteriologica di San Paolo, il quale, nella Lettera ai Romani, esprime la sua convinzione non soltanto che non può esserci una rottura nella storia della salvezza, ma anche che la salvezza viene dagli ebrei (cfr. anche Gv 4,22). Dio ha affidato a Israele una missione unica e non porterà a compimento il suo misterioso piano di salvezza rivolto a tutti i popoli (cfr. 1 Tm 2,4) senza coinvolgere il suo "figlio primogenito" (Es 4,22). Vediamo dunque chiaramente che Paolo, nella Lettera ai Romani, risponde in maniera negativa e determinata alla domanda che lui stesso si è posto, ovvero se Dio abbia ripudiato il suo popolo. In maniera altrettanto decisa afferma: "perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!" (Rm 11,29). Il fatto che gli ebrei abbiano parte alla salvezza di Dio è teologicamente fuori discussione, ma come questo sia possibile senza una confessione esplicita di Cristo è e rimane un mistero divino insondabile. Non è dunque un caso che le riflessioni soteriologiche di Paolo in Romani 9-11 circa la salvezza definitiva degli ebrei sullo sfondo del mistero di Cristo culminino in una magnifica dossologia: "O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!" (Rm 11,33). Bernardo di Chiaravalle (De consideratione III/I,3) dice che per gli ebrei "è stato fissato un tempo che non può essere anticipato".
37. Un altro punto focale per i cattolici deve continuare ad essere l’assai complessa questione teologica di come conciliare in maniera coerente la fede cristiana nel ruolo salvifico universale di Gesù Cristo con la convinzione di fede altrettanto chiara che afferma l’esistenza di un’alleanza mai revocata di Dio con Israele.
38.
6. Il mandato evangelizzatore della Chiesa in relazione all’ebraismo
40. È facile capire che la cosiddetta "missione rivolta agli ebrei" è una questione molto spinosa e sensibile per gli ebrei, poiché, ai loro occhi, riguarda l’esistenza stessa del popolo ebraico. Anche per i cristiani è un tema delicato, poiché considerano di fondamentale importanza il ruolo salvifico universale di Gesù Cristo e la conseguente missione universale della Chiesa.
41. Il concetto di missione deve essere presentato correttamente nel dialogo tra ebrei e cristiani. La missione cristiana trae origine dall’invio di Gesù da parte del Padre. Gesù rende i discepoli partecipi di tale chiamata riguardo al popolo di Dio, Israele (cfr. Mt 10,6), e poi anche, come Signore Risorto, in relazione a tutte le nazioni (cfr. Mt 28,19). Così il popolo di Dio assume una nuova dimensione per mezzo di Gesù, che istituisce la sua Chiesa chiamando sia ebrei che gentili (cfr. Ef 2,11-22), sulla base della fede in lui, il Cristo, attraverso il battesimo, ovvero attraverso l’incorporamento nel suo Corpo, che è
42. La missione cristiana e la testimonianza cristiana, sia nella vita che nell’evangelizzazione, sono inseparabili. Il principio che Gesù trasmette ai suoi discepoli quando li invia in missione è subire la violenza piuttosto che infliggerla. I cristiani devono riporre la loro fiducia in Dio, che compirà il suo piano universale di salvezza in modi noti soltanto a lui; essi sono infatti testimoni di Cristo, ma non sono loro a dover attuare la salvezza dell’umanità. Lo zelo per la "casa del Signore" e la solida fiducia nel successo dell’azione divina non possono essere scissi. La missione cristiana significa che tutti i cristiani, nella comunione della Chiesa, confessano e proclamano il compimento, nella storia, della volontà salvifica universale di Dio in Gesù Cristo (cfr. "Ad gentes", n. 7). I cristiani sperimentano la presenza sacramentale di Cristo nella liturgia e la rendono tangibile nel servizio agli altri, specialmente ai bisognosi.
43. È e rimane un tratto qualitativo della Chiesa della Nuova Alleanza il fatto che essa sia composta da ebrei e gentili, anche se il rapporto quantitativo tra giudeo-cristiani e gentili può dare a prima vista un’altra impressione. Come dopo la morte e risurrezione di Gesù Cristo non esistevano due Alleanze tra loro non correlate, così il "popolo dell’Alleanza di Israele" non è scollegato dal "popolo di Dio composto dai gentili". Piuttosto, il ruolo permanente del "popolo dell’Alleanza di Israele" nel piano salvifico di Dio deve essere rapportato in maniera dinamica al "popolo di Dio composto da ebrei e gentili uniti in Cristo", in Colui che
7. Gli obiettivi del dialogo con l’ebraismo
44. Il primo obiettivo del dialogo è l’approfondimento della conoscenza reciproca tra ebrei e cristiani. Si può amare soltanto ciò che si è imparato gradualmente a conoscere e si può conoscere realmente e profondamente soltanto ciò che si ama. Questa conoscenza approfondita si accompagna sempre ad un mutuo arricchimento, nel quale i partners di dialogo diventano i destinatari dei rispettivi doni.
45. Questa acquisizione di conoscenza reciproca non deve limitarsi agli specialisti. È importante che gli istituti di istruzione cattolici, in particolare nel campo della formazione dei sacerdoti, includano nei loro curricula sia "Nostra aetate" che i documenti successivi della Santa Sede sull’attuazione della Dichiarazione conciliare.
46. Un importante obiettivo del dialogo ebraico-cristiano consiste indubbiamente nell’impegno comune a favore della giustizia, della pace, della salvaguardia del creato e della riconciliazione in tutto il mondo. È possibile che nel passato diverse religioni, sulla base di una rivendicazione di verità intesa in maniera ristretta e di una intolleranza ad essa conseguente, abbiano contribuito a fomentare conflitti e scontri. Oggi, tuttavia, le religioni non dovrebbero essere parte del problema, ma parte della soluzione al problema. Soltanto quando le religioni dialogano con successo le une con le altre, contribuendo in tal modo alla pace mondiale, questa pace può essere realizzata anche a livello sociale e politico. Prerequisito di tale dialogo e di tale pace è la libertà di religione garantita dalle autorità civili. Al riguardo, il banco di prova consiste nel modo in cui le minoranze religiose sono trattate e in quali diritti vengono loro concessi. Nel dialogo ebraico-cristiano, di grande rilevanza è la situazione delle comunità cristiane nello Stato di Israele, poiché là –come in nessun altro luogo al mondo- una minoranza cristiana si trova davanti ad una maggioranza ebraica. La pace in Terra Santa –una pace che manca e per la quale si prega costantemente- svolge un ruolo considerevole nel dialogo tra ebrei e cristiani.
47. Un altro importante obiettivo nel dialogo ebraico-cattolico consiste nella lotta comune contro ogni manifestazione di discriminazione razziale verso gli ebrei e contro ogni forma di antisemitismo, il quale certamente non è ancora stato sradicato e riaffiora in modi diversi in vari contesti. La storia ci insegna dove possono condurre perfino quelle forme di antisemitismo all’inizio appena sottintese: alla tragedia umana della Shoah, in cui due terzi degli ebrei europei sono stati annientati. Entrambe le tradizioni di fede sono chiamate, insieme, a mantenere sempre sveglie vigilanza e sensibilità, anche nell’ambito sociale. Per lo stretto legame di amicizia che unisce ebrei e cattolici,
48. Giustizia e pace non dovrebbero comunque essere concetti astratti nel dialogo, ma dovrebbero concretizzarsi in modo tangibile. La sfera sociale-umanitaria offre un ricco campo di attività, poiché sia l’etica ebraica che l’etica cristiana comprendono l’imperativo di assistere i poveri, i deboli e i malati. Ad esempio,
49. Quando ebrei e cristiani, attraverso un’assistenza umanitaria concreta, apportano insieme il loro contributo alla giustizia ed alla pace nel mondo, offrono testimonianza dell’amorevole premura di Dio. Non più in discordante contrapposizione, ma cooperando a fianco gli uni degli altri, ebrei e cristiani dovrebbero adoperarsi per un mondo migliore. Ad una simile collaborazione ha invitato il Santo Papa Giovanni Paolo II nel discorso pronunciato il 17 novembre 1980 davanti ai membri del Consiglio centrale degli ebrei in Germania e della Conferenza dei rabbini di Magonza: "Giudei e cristiani, quali figli di Abramo, sono chiamati ad essere benedizione per il mondo […], in quanto si impegnano insieme per la pace e la giustizia tra tutti gli uomini e i popoli, e lo fanno in pienezza e profondità, come Dio stesso le ha pensate per noi, e con la disponibilità ai sacrifici, che questo alto intento può esigere".
10 dicembre 2015
Cardinale
Kurt Koch
Presidente
Presidente
S.E.
Mons. Brian Farrell
Vice-Presidente
Vice-Presidente
P.
Norbert J. Hofmann, SDB
Segretario
Segretario
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