Modalità e obiettivi
Léon Duƒour
Quanta polvere
inutilmente sollevata da coloro che, dialogando, non conoscono il loro
interlocutore! Enumeriamo alcune di queste conoscenze indispensabili,
preliminari a ogni dialogo. Ho
letto, io cristiano, la dichiarazione del Concilio Vaticano II sugli ebrei? So
che dico una menzogna, una calunnia, che sono un persecutore, se continuo a
parlare di “popolo deicida” a proposito del popolo ebreo? Persino il
Concilio di Trento non aveva adoperato questo termine usato invece nelle
traduzioni dei catechismi. Sappiamo che Paolo stesso non è passato dall’ebraismo
al cristianesimo come è stato detto, ma è rimasto ebreo, fedele alla religione
dei padri (Atti 24, 14)? E che i primi cristiani erano tutti ebrei?
Sappiamo che l’ebraismo non si definisce con una fede dogmatica,
ma con una pratica di vita?
Perché questa
conoscenza sia comprensione profonda, devo uscire dal circolo chiuso in cui
vivo. Qualcuno può obiettare che gli ebrei hanno messo, per primi, la siepe
attorno alla Torà: l'hanno fatto per proteggerla contro perverse influenze.
Tocca a me lasciare
il chiuso delle mie abitudini, del mondo in cui mi sono installato confondendo
le pratiche religiose con la verità ultima, rigettando nel mondo delle tenebre
gli ebrei che, per paura, si sono rinchiusi in se stessi.
Devo superare la
frontiera: certamente troverò un mondo molto diverso dal mio.
Eppure
quali ricchezze nuove da questo contatto!
Lungi dal criticare
costumi che mi sembrano strani, come quello di tenere il capo coperto durante
la preghiera o quello di cantare in modo diverso, ho pensato che Gesù di Nazareth ha
pregato in quel modo, che i primi cristiani hanno vissuto così? Di più: ho
osservato la somiglianza della prima parte della messa e dell'ufficio
sinagogale?
Se mi reco al sèder
di Pèsach (cena di Pasqua) o alla festa di Kippùr (dell’espiazione), non mi
sono forse sentito più stimolato nella mia preghiera pasquale o nel mio comportamento
penitenziale? E così per altre istituzioni.
Prima di percorrere
le tappe di una autentica conoscenza, dobbiamo dissipare un pregiudizio che può
causare mancanza di accordo. Quando si parla di amore nella conoscenza, ciò non
significa solo provare visceralmente della compassione per un essere che
soffre; a maggior ragione, non è neppure cercare di “convertire” l'altro alla propria verità.
Rispetto forse la libertà cercando di imporre la mia fede?
Una delle riserve più
profonde che gli ebrei fanno quando sono avvicinati dai cristiani, è di non voler
essere considerati come una preda da conquistarsi alla verità cristiana.
Secondo la precisa affermazione di André Neher, essi non vogliono essere dei
“convertiti in potenza”. E' quindi con spirito di autentica gratuità
che devo avventurarmi alla conoscenza del mio fratello ebreo.
Padre
Léon Duƒour – teologo
gesuita
-Sefer- Ottobtre 1974
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