di Nathan Ben Horin
Mentre il
cristianesimo aveva trasferito il fulcro sacrale di Gerusalemme dalla spianata
del tempio al santo sepolcro, questa spianata, con la conquista araba del settimo
secolo, viene integralmente islamizzata e totalmente disebreizzata. Ancora oggi
la pretesa islamica fondamentalista che i templi successivi di Salomone e di
Erode sul Monte Moriah non siano mai esistiti viene accolta e propugnata, senza
il minimo dubbio, da vastissimi strati del mondo islamico. Se la storia, le
innumerevoli testimonianze, comprese quelle
archeologiche, smentiscono questa versione, se i fatti provano il contrario,
allora tanto peggio per i fatti.
A questo punto non
sarà forse inutile ricordare come, storicamente, Gerusalemme venne a essere
contemporaneamente capitale nazionale e città santa d'Israele. Gerusalemme
entra nella storia con il popolo ebraico all'età del bronzo, 3000 anni fa,1000
anni prima dell'era cristiana,
1600 anni prima dell'era musulmana.
É il re Davide che, dopo aver regnato per sette anni a
Hebron, conquista, verso l'anno mille prima dell'era contemporanea, l'enclave
gebusea per unificare il suo regno, proclamando Gerusalemme
capitale. Ma egli non si accontenta dell'unificazione nazionale, ma trasferendo l'arca
dell'alleanza da Kiryat Yearim a Gerusalemme ed erigendo un altare sull'aia al
Monte Moriah comprata da Aravna, il gebuseo, conferisce alla città lo status di santuario centrale d'Israele.
Egli concretizza il motivo ricorrente nella Bibbia ebraica dell'elezione divina
di Gerusalemme, come espressa fra tanti altri nel passo del Salmo 132,13-14:
«Poiché il Signore ha scelto Sion, l'ha voluta come la sua sede. Questo è il
luogo del mio riposo in eterno, qui risiederò, perché l'ho amato».
Per più di mille anni
Gerusalemme fu tale, capitale e città santa d'Israele, eccetto per la breve
parentesi dell'esilio babilonese. Risale a questo esilio il giuramento di
fedeltà a Gerusalemme espresso nel Salmo 137 e mantenuto per tutte le
generazioni fino ai nostri
giorni: «Se ti
dimenticherò, o Gerusalemme, si paralizzi la mia destra, si attacchi la lingua
al mio palato se non ti ricorderò, se non innalzerò Gerusalemme al vertice della
mia gioia››.
La Bibbia ebraica
nomina Gerusalemme esplicitamente circa 700 volte e il suo sinonimo Sion 150
volte. Inoltre la città ha circa 70 soprannomi, come per esempio Figlia di
Sion, Città del gran re, Città
di giustizia, Città di verità, Città fedele e cosi via. Questi
riferimenti biblici non si contano.
É da Gerusalemme che i profeti d’Israele avevano lanciato al mondo pagano la sfida del monoteismo. Da lì avevano denunciato il culto della violenza, della forza brutale e della crudeltà, contrapponendovi l’insegnamento dell’amore del prossimo, del valore sacro della vita umana. Al posto dell’oppressione del debole, del povero, avevano insegnato la carità, la misericordia, la giustizia sociale. Contro il mito della fatalità, dell’impotenza umana, avevano predicato il concetto della responsabilità dell’uomo verso il suo simile, verso il Creatore e la creazione. Infine da Sion era uscita la visione della pace e della redenzione universale.
È questa profezia, insieme con il libro dei Salmi, come
osserva Zwi Werblowsky dell’Università ebraica di Gerusalemme, che
racchiude il significato di Gerusalemme, che poi ha determinato
l'autocomprensione e la coscienza storica ebraica. Gerusalemme e Sion sono giunti
a significare non soltanto la città, ma tutta la terra d'Israele e il popolo d'Israele.
Nel profeti, e in particolare in Geremia e Isaia, la città, il paese e il popolo
si confondono in un tutto unico come per esempio nel passo di Isaia che esulta
per la gioia di Sion, quando i suoi figli ritorneranno dall'esilio o Isaia
51,16: «Io ho messo le mie parole nella tua bocca [...] per dire a Sion tu sei
il mio popolo».
Nell'anno 70
Gerusalemme è conquistata dalle legioni di Roma. La città è distrutta insieme
con il tempio, dato alle fiamme. La popolazione è decimata. Comincia il lungo
esilio del popolo, legato simbolicamente nella tradizione, all'esilio della Presenza
divina (Shekhinah). Poi, dopo
un'ultima, disperata resistenza nel 135, sotto l'imperatore Adriano, è la catastrofe
finale. Tutto ciò che rimane della città viene raso al suolo, lasciando come
unico vestigio-testimone solo il Muro Occidentale, per secoli chiamato il Muro
del Pianto. Il nome stesso di Gerusalemme è cancellato e sostituito da Aelia
Capitolina. É il primo tentativo di degiudaizzare Gerusalemme.
Ma Gerusalemme
continua a vivere nell'anima d'Israele disperso, come nostalgia e speranza. Nostalgia e lutto per lo
splendore perduto, speranza nel ritorno, nella redenzione. Questi due poli sono
collegati nella coscienza ebraica. «Chi porta il lutto per Gerusalemme nella
sua distruzione ~ dice il Talmud ~ si meriterà di vedere la sua ricostruzione».
Il tempo non ci
permette di esporre, neanche nel modo più succinto, come la memoria di
Gerusalemme e la speranza della sua restaurazione siano state gelosamente
custodite nella tradizione rabbinica, nella liturgia della sinagoga, negli usi
della vita quotidiana, nella poesia medievale, la kabbalah, nella letteratura yiddish
ed ebraica moderna e finalmente nel movimento di risorgimento nazionale, che è
il sionismo.
É stato rilevato che
non a caso questo movimento ha tratto il suo nome da una città, Sion, e non da
un popolo o da un paese. Nello stesso modo Sion e Gerusalemme sono al centro
del nostro inno nazionale, Hatikva,
«la speranza».
La memoria di
Gerusalemme pervade la vita quotidiana dell’ebreo dalla nascita alla morte. Chi
osserva un minimo di pratica religiosa ne pronuncia il nome decine di volte al
giorno. Il noto augurio alla fine del Seder
pasquale: <<L’anno prossimo a Gerusalemme>> è solo una delle
espressioni di speranza.
Nathan
Ben Horin
(da “Nuovi Orizzonti tra ebrei e cristiani”,
Edizioni Messaggero Padova)
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