mercoledì 16 novembre 2016

GERUSALEMME/SION

di Nathan Ben Horin

Mentre il cristianesimo aveva trasferito il fulcro sacrale di Gerusalemme dalla spianata del tempio al santo sepolcro, questa spianata, con la conquista araba del settimo secolo, viene integralmente islamizzata e totalmente disebreizzata. Ancora oggi la pretesa islamica fondamentalista che i templi successivi di Salomone e di Erode sul Monte Moriah non siano mai esistiti viene accolta e propugnata, senza il minimo dubbio, da vastissimi strati del mondo islamico. Se la storia, le innumerevoli testimonianze, comprese  quelle archeologiche, smentiscono questa versione, se i fatti provano il contrario, allora tanto peggio per i fatti.

A questo punto non sarà forse inutile ricordare come, storicamente, Gerusalemme venne a essere contemporaneamente capitale nazionale e città santa d'Israele. Gerusalemme entra nella storia con il popolo ebraico all'età del bronzo, 3000 anni fa,1000 anni prima dell'era cristiana, 1600 anni prima dell'era musulmana.

É il re Davide che, dopo aver regnato per sette anni a Hebron, conquista, verso l'anno mille prima dell'era contemporanea, l'enclave gebusea per unificare il suo regno, proclamando Gerusalemme capitale. Ma egli non si accontenta dell'unificazione nazionale, ma trasferendo l'arca dell'alleanza da Kiryat Yearim a Gerusalemme ed erigendo un altare sull'aia al Monte Moriah comprata da Aravna, il gebuseo, conferisce alla città lo status di santuario centrale d'Israele. Egli concretizza il motivo ricorrente nella Bibbia ebraica dell'elezione divina di Gerusalemme, come espressa fra tanti altri nel passo del Salmo 132,13-14: «Poiché il Signore ha scelto Sion, l'ha voluta come la sua sede. Questo è il luogo del mio riposo in eterno, qui risiederò, perché l'ho amato».

Per più di mille anni Gerusalemme fu tale, capitale e città santa d'Israele, eccetto per la breve parentesi dell'esilio babilonese. Risale a questo esilio il giuramento di fedeltà a Gerusalemme espresso nel Salmo 137 e mantenuto per tutte le generazioni fino ai nostri
giorni: «Se ti dimenticherò, o Gerusalemme, si paralizzi la mia destra, si attacchi la lingua al mio palato se non ti ricorderò, se non innalzerò Gerusalemme al vertice della mia gioia››.

La Bibbia ebraica nomina Gerusalemme esplicitamente circa 700 volte e il suo sinonimo Sion 150 volte. Inoltre la città ha circa 70 soprannomi, come per esempio Figlia di Sion, Città del gran re, Città di giustizia, Città di verità, Città fedele e cosi via. Questi riferimenti biblici non si contano.

É da Gerusalemme che i profeti d’Israele avevano lanciato al mondo pagano la sfida del monoteismo. Da lì avevano denunciato il culto della violenza, della forza brutale e della crudeltà, contrapponendovi l’insegnamento dell’amore del prossimo, del valore sacro della vita umana. Al posto dell’oppressione del debole, del povero, avevano insegnato la carità, la misericordia, la giustizia sociale. Contro il mito della fatalità, dell’impotenza umana, avevano predicato il concetto della responsabilità dell’uomo verso il suo simile, verso il Creatore e la creazione. Infine da Sion era uscita la visione della pace e della redenzione universale.

È questa profezia, insieme con il libro dei Salmi, come osserva Zwi Werblowsky dell’Università ebraica di Gerusalemme, che racchiude il significato di Gerusalemme, che poi ha determinato l'autocomprensione e la coscienza storica ebraica. Gerusalemme e Sion sono giunti a significare non soltanto la città, ma tutta la terra d'Israele e il popolo d'Israele. Nel profeti, e in particolare in Geremia e Isaia, la città, il paese e il popolo si confondono in un tutto unico come per esempio nel passo di Isaia che esulta per la gioia di Sion, quando i suoi figli ritorneranno dall'esilio o Isaia 51,16: «Io ho messo le mie parole nella tua bocca [...] per dire a Sion tu sei il mio popolo».

Nell'anno 70 Gerusalemme è conquistata dalle legioni di Roma. La città è distrutta insieme con il tempio, dato alle fiamme. La popolazione è decimata. Comincia il lungo esilio del popolo, legato simbolicamente nella tradizione, all'esilio della Presenza divina (Shekhinah). Poi, dopo un'ultima, disperata resistenza nel 135, sotto l'imperatore Adriano, è la catastrofe finale. Tutto ciò che rimane della città viene raso al suolo, lasciando come unico vestigio-testimone solo il Muro Occidentale, per secoli chiamato il Muro del Pianto. Il nome stesso di Gerusalemme è cancellato e sostituito da Aelia Capitolina. É il primo tentativo di degiudaizzare Gerusalemme.

Ma Gerusalemme continua a vivere nell'anima d'Israele disperso, come  nostalgia e speranza. Nostalgia e lutto per lo splendore perduto, speranza nel ritorno, nella redenzione. Questi due poli sono collegati nella coscienza ebraica. «Chi porta il lutto per Gerusalemme nella sua distruzione ~ dice il Talmud ~ si meriterà di vedere la sua ricostruzione».

Il tempo non ci permette di esporre, neanche nel modo più succinto, come la memoria di Gerusalemme e la speranza della sua restaurazione siano state gelosamente custodite nella tradizione rabbinica, nella liturgia della sinagoga, negli usi della vita quotidiana, nella poesia medievale, la kabbalah, nella letteratura yiddish ed ebraica moderna e finalmente nel movimento di risorgimento nazionale, che è il sionismo.

É stato rilevato che non a caso questo movimento ha tratto il suo nome da una città, Sion, e non da un popolo o da un paese. Nello stesso modo Sion e Gerusalemme sono al centro del nostro inno nazionale, Hatikva, «la speranza».

La memoria di Gerusalemme pervade la vita quotidiana dell’ebreo dalla nascita alla morte. Chi osserva un minimo di pratica religiosa ne pronuncia il nome decine di volte al giorno. Il noto augurio alla fine del Seder pasquale: <<L’anno prossimo a Gerusalemme>> è solo una delle espressioni di speranza.

Nathan Ben Horin

(da “Nuovi Orizzonti tra ebrei e cristiani”, Edizioni Messaggero Padova)

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