Alberto Moshe Somekh
Ciascun
mese dell’anno ebraico è associato a una delle dodici costellazioni dello
zodiaco che appare in cielo. Al primo mese dell’anno, Tishri, è assegnato il
segno della bilancia o, come è chiamata in ebraico, mozenayim. Il Midrash
(Tanchumah, Shelàch) spiega l’associazione fra bilancia e Tishri in base al
concetto che Maimonide avrebbe così illustrato: “Ogni uomo ha sia trasgressioni
che meriti. Se i suoi meriti superano le trasgressioni, è considerato uno
tzaddiq, completamente giusto. Se le trasgressioni sono superiori è considerato
un rashah, completamente malvagio. Se le trasgressioni e i meriti si
equivalgono, viene definito benonì, una persona che si trova nel mezzo…
Tuttavia, non si tratta di un giudizio quantitativo, bensì qualitativo. Vi sono
atti di merito individuali che vengono considerati più influenti di molte
trasgressioni. Analogamente, vi sono trasgressioni che possono avere peso
maggiore di molte fonti di merito. La determinazione del peso dipende soltanto dal
giudizio di D., la cui conoscenza comprende tutto, poiché soltanto Egli può
valutare il merito e la trasgressione. Ognuno dovrebbe perciò considerare se
stesso, nel corso di tutto l’anno, come se fosse per metà meritevole e per metà
colpevole. Così, se commette un’unica trasgressione, è in grado di inclinare
l’ago della bilancia dalla parte delle trasgressioni per se stesso e per tutto
il mondo, causando la distruzione di entrambi. Allo stesso modo, se compie una
Mitzvah, può inclinare l’ago della bilancia dalla parte dei meriti per sé e per
tutto il mondo, portando salvezza e liberazione ad entrambi” (Hil. Teshuvah 3,
1-3).
Commenta
il Sefer haToda’ah: “A Rosh haShanah vengono pesate le azioni dell’uomo ed egli
viene iscritto favorevolmente o sfavorevolmente in base ai meriti delle sue
azioni… Anche se una persona pecca per tutto l’anno, non dovrebbe perdere
fiducia nella sua capacità di fare Teshuvah. Al contrario, dovrebbe ritornare
sulla via della rettitudine prima che sopraggiunga il giudizio. Dovrebbe sempre
credere di aver la capacità di far pendere l’ago della bilancia propria e di
quella di tutto il mondo dalla parte del merito. Per questo motivo è
consuetudine di tutto il popolo d’Israel essere particolarmente generosi nella
Tzedaqah, nelle buone azioni e nel compiere mitzvot nel periodo fra Rosh
haShanah e Yom Kippur. L’uomo viene infatti giudicato soltanto secondo le sue
azioni presenti (ba-asher hu sham; TB Rosh haShanah 16a). Perciò se si pente in
prossimità del giorno del giudizio, compiendo la volontà di D., viene giudicato
per come è e non per come era”.
La
metafora della bilancia riferita al S.B. è già nei Profeti. Nel descrivere la
potenza creatrice Divina Yesha’yahu scrive che il S.B. “pesa i monti con la
stadera e le colline con la bilancia” (40,12). La bilancia simboleggia la
giustizia assoluta, l’equità, l’onestà, l’etica. La Torah stessa ci prescrive
di non adoperare mai due pesi e due misure, “affinché si prolunghino i tuoi
giorni sulla terra che H. tuo D. ti dà” (Devarim 25, 16). Si contrappone
mozeney tzedeq, la “bilancia di giustizia” (Wayqrà 19,36), il peso esatto e
corretto, a mozeney mirmah, la “bilancia d’imbroglio” che è “abominio di H.”
(Mishlè 11,1). Il Ben Ish Chay di Baghdad vede nella struttura della bilancia
la Scrittura del Nome tetragrammato di H. I due piatti formano con le
rispettive catene due lettere he; l’asta verticale rammenta la waw e il gancio
simboleggia la yod. Chi adopera la bilancia in modo disonesto, insomma, profana
il Nome di D. “La Torah non proibisce la disonestà nei pesi e nelle misure solo
quando viene messa in pratica, cosa che rientrerebbe molto più semplicemente
nel furto, ma considera la misurazione in se stessa un atto di giustizia, il
simbolo del rispetto ebraico per il diritto, qualcosa di sacro da non violare.
Essa vuole che il senso del diritto, il rispetto e la considerazione per
l’onestà diventino un tratto fondamentale del carattere ebraico” (S.R. Hirsch).
Ma la
bilancia richiama anche e soprattutto l’idea di equilibrio. La società odierna
sembra raccomandare l’opposto a questo proposito. L’estremizzazione è spesso
preferita da molti, che vedono nel perseguimento della via mediana un
atteggiamento perdente: o tutto, o niente. Non ci si rende conto invece che chi
troppo vuole nulla stringe, tafasta merubbeh lo tafasta. E occorre dare tempo
al tempo, senza voler ottenere tutto subito. Ciò che richiede ponderazione è
generalmente messo in disparte, perché non offre soddisfazione immediata, ma
richiede piuttosto sforzo. È ancora Maimonide a darci le necessarie
indicazioni. “I due estremi di ciascun tratto non riflettono la via ideale e
pertanto non si raccomanda alla persona di adottarli, né di apprenderli. Se
anzi si rende conto che la sua natura tende verso l’uno o l’altro degli estremi
ed è così predisposta, o che ha imparato ad agire di conseguenza e vi si è
abituato, deve ritornare a ciò che è raccomandabile e procedere nella via degli
uomini virtuosi, che è la via retta. La via retta è la posizione intermedia fra
i due estremi in ciascun tratto dell’umano comportamento, equidistante da
ciascuno degli estremi, senza accostarsi a nessuno dei due. Perciò i Chakhamim
più antichi ci hanno istruito a valutare i tratti del nostro carattere, a
giudicarlo e a dirigerlo lungo la via mediana, in modo di essere sani… Non si
deve essere troppo parsimonioso, né sperperare il proprio denaro, bensì dare
Tzedaqah secondo le proprie possibilità” (Hil. De’ot 1, 3-4). “In effetti, la
Torah non ha proibito quello che ha proibito, né comandato quello che ha
comandato, se non al fine che noi ci tenessimo maggiormente lontani da uno
degli estremi, attraverso una disciplina precauzionale… Se tu considererai da
questo punto di vista la maggior parte dei precetti, troverai che essi non
mirano che a equilibrare le facoltà dell’anima” (Shemonah Peraqim, cap. 4).
Una
introspezione costante è elemento necessario in ogni programma di avanzamento
personale e spirituale. Anche se una persona possiede gli ideali più elevati,
se non provvede sovente a farsi un esame di coscienza e non sorveglia la
propria condotta, può commettere gravi errori. Vi è tuttavia un altro
significato ancora legato alla bilancia. La parola ebraica mozenayim, infatti,
deriva dalla stessa radice di òzen, “orecchio”. R. David Qimchi, nel Sefer
haShorashim, spiega l’associazione con il fatto che i due piatti della bilancia
assomigliano alle due orecchie ai lati del viso. O non saranno già stati
consapevoli gli antichi del fatto che proprio l’orecchio è sede dell’equilibrio
fisico dell’individuo? Sembrerebbe avvalorare questa ipotesi affascinante il
fatto che una volta, nel Qohelet (12,9), appare il verbo izzèn parallelo a
chiqqèr (“valutare, investigare”) nel senso di “ponderare”! Se così è, la
bilancia ci richiama alla capacità di adoperare l’orecchio, l’attitudine
all’ascolto.
Anche
la Parashah che leggeremo in occasione di Shabbat Shuvah, fra Rosh haShanah e
Yom Kippur, comincia con un invito dalla stessa radice: Haazinu, “porgete
orecchio” (Devarim 32,1)! Senso dell’equilibrio e disponibilità all’ascolto
costituiscono due spunti di riflessione importanti per fare Teshuvah al giorno
d’oggi. I modelli che i mass media forniscono invitano lo spettatore a essere
boneh bamah le-‘atzmò, “costruirsi una tribuna tutta per sé”. L’essenziale è
poter parlare, senza curarsi del senso di ciò che si dice. Per questo motivo,
ascoltare suscita assai meno interesse. Dal momento che chi parla non è
altrettanto disponibile all’ascolto degli altri, finirà prima o poi con
l’assuefarsi a non avere degli ascoltatori a sua volta. E le sue parole avranno
sempre meno significato, in un giro vizioso inarrestabile. Shim’ù u-tchì
nafshekhem. “Prestate ascolto e la vostra anima vivrà”, invita il Profeta
Yesha’yahu (55,3). Commenta R. I. Lampronti che il S.B. si comporta
diversamente dall’uomo. Se un individuo si fa male dappertutto a seguito di un
violento incidente, il medico riempie tutto il suo corpo di fasce. Ma quando
l’uomo è pieno di trasgressioni il S.B. gli dice: “È sufficiente che ti curi
l’orecchio e vedrai che tutto il resto guarirà” (s.v. hattù). L’ascolto del
Maestro porta ad agire correttamente ancor più dello studio individuale dei
libri. Il cattivo istinto lo sa e di proposito ci induce a sottovalutare i
richiami che ci vengono rivolti e a comportarci di testa nostra, facendoci credere
di non aver bisogno di consigli (Pele Yo’etz s.v. shemi’ah). Shanah Tovah.
Ketivah wa-Chatimah Tovah a tutti.
Tratto da Kolot, (Pagine
Ebraiche, settembre 2016)
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